"Escribid con amor, con corazón, lo que os alcance, lo que os antoje. Que eso será bueno en el fondo, aunque la forma sea incorrecta; será apasionado, aunque a veces sea inexacto; agradará al lector, aunque rabie Garcilaso; no se parecerá a lo de nadie; pero; bueno o malo, será vuestro, nadie os lo disputará; entonces habrá prosa, habrá poesía, habrá defectos, habrá belleza." DOMINGO F. SARMIENTO



sábado, 14 de febrero de 2009

QUELLA VECCHIA FOTOGRAFIA

Dedicato con affetto a Pietro Albani, mio nonno materno che non conobbi ed al suo paese natio, Teren Cavanecc, nell’Isola bergamasca, Lombardia (Italia)

L'uomo, con le maniche della camicia rimboccate fino ai gomiti, accarezzava i suoi baffi dinanzi la scrivania illuminata, morticinamente, da una lampada a gasolio.
La piccola Carolina gli si avvicinò silenziosamente intanto l’uomo faceva finta di non accorgersi della sua presenza.
Impaziente, la piccina pose le manine sull'orlo del tavolo lucido. I suoi occhi vivacissimi risplendevano come due stelline sotto la luce ingiallita del frugnolo.
All’improvviso due forte braccia, ancora abbronzate dall’ultima estate, la presero dalla cìntola tirandola su.
- Eccoti qua Carolina...vediamo se ti piace quello che ho scritto per il tuo cavallo preferito. Le disse con tenerezza, mentre la sistemava sulle ginocchia.
Voltò pagina e recitò quei versi mettendo l'enfasi su ciascuna riga che lo si meritava.
Carolina lo ascoltava con attenzione senza riuscire nemmeno a battere i cigli. Finita la lettura, Pietro rimase un istante con lo sguardo sperduto finchè le mormorò con dolcezza:
- Andiamo a cena…ci aspettano e dopo...tutti a riposare...domani sarà una giornata molto movimentata per tutti noi.
A uno a uno, Maria Antonia, Angelo, Angela, Valentina Rosa, Lucia Esmeralda, Carolina Luisa, Rosa Irma, Enriqueta Lidia ed il piccolo Battista, pulirono loro mani e sedetero tutti a tavola su due lunghe panche di legno. Sedete pure Nicola, il vecchio fasservizi sordo arrivato nel dopoguerra.
Tutti rimassero zitti da quando Pietro chinò il capo e giunse le mani per ringraziare Iddio il cibo che avrebbero ricevuti. Tutti risposero “Amen” e si misero a mangiare rumorosamente.
Dopo cena, le bambine aiutarono a mamma a sparecchiare mentre Angelo tentava di strappare qualche suono al nuovo violino.
Pietro si alzò e prese, da una scattola di legno che faceva da soprammobile, un sigaro “Toscano” che accese dopo tagliarle metodicamente il mozzicone.
Con lo sguardo, seguì la prima bocconata di fumo finche essa scomparve lassù, dopodichè, guardò fisso negli occhi Nicola e scattò quella domanda.
- Come stanno gli animali del potrero Nord?
- Mica bene…purtroppo nel tardo pomeriggio non ce la facevano nemmeno ad alzarsi da soli.
Rispose il vecchietto senza spostare gli occhi dalle labra del padrone.
- Domattina, andremo insieme a controllare...ora vai a riposare - Disse concludendo il dialogo.
Quel mattino d’aprile piovigginava e tutt’e due infilarono verso il nord. Smontarono a fianco di una prima mucca che giacceva per terra, già un po gonfia, con le zampe all’insù.
A mani nude, apri la bocca dello sciagurato animale per cercare qualche traccia della malattia. Molto afflitto, rimontò senza nemmeno accorgersi della piccola ferita sanguinosa che aveva alla mano destra. Il silenzio si tagliava con coltello nel ripassare dirimpetto al cimitero.
- Tutto perso... cosi di un tratto... Pensò.
In paese già si sapeva che quel misterioso morbo, che decimava gli animali, era addirittura “Carbonchio”.
All’indomani, si sentì molto male e la febbre cominciò a consumarlo rapidamente, malgrado gli impegni del chirurgo.
Moglie e figli si turnavano a mettere dei panni freddi sulla fronte del malato ed a fare bollire la biancheria contaminata incessantemente.
- Caro Giovanni...ti prego di aiutarli in tutto,...non vorrei che li fosse a mancare nulla, Maria non ce la farà da sola con tutto ed i bambini ancora d'allevare... Pregò a suo cognato.
- Non ti preoccupare Pietro, non li mancherà niente...stai calmo, ti riprenderai - Rispose Giovanni col nodo in gola.
Quell’8 Maggio 1929, Pietro, aveva solo visuto 44 anni. Voluto da tutti, eletto Sindaco del paese addottivo per due volte, moriva di “setticemia da carbonchio” alle 11:30 del mattino.
Il corteggio funebre arrivò ben presto al cimitero vicino. Maria, piangeva ed abbracciava i suoi figli dietro la bara portata da Giovanni, Nicola, parenti ed amici. Tutto il paese si schierò dietro di loro.
La piccola Carolina lasciò un fiore rosso sulla tomba bassa, allineata ad altre nei confini stessi del cimitero e rientrò a casa sua, di corsa. Involse accuratamente la piccola scatola metallica in un grosso panno scuro e con quel tesoro misterioso la bambina scomparve nel boschetto vicino al cesso.
Quando la coppia passò a prenderla, in una lucente macchina nera, era di estate e Carolina aveva compiuto appena i 10 anni. Loro si sarebbero occupati di curarla -dissero- per “aiutare la mamma oramai vedova e con tanti figli d'allevare...”.
- Me la manda a scuola...e me la riporta spesso...mi raccomando! - Sussurrò Maria all’orecchio della gentildonna.
- Non si preoccupi...verrà trattata come la figlia che non abbiamo avuto - fu la risposta dell'ellegante sposa del Commissario.
Con gli occhi bagnati in lacrime ed il nasino attacato al vetro del finestrino posteriore, Carolina partì. Sembrava che volesse portare negli occhi quel posto tanto bello…il suo posto natio.
La macchina nera percorse la centinaia di metri, che separavano la casa dalla palizzata ancora aperta, tra la doppia schiera dei giovani “eucaliptus”, poi girò a destra e si perse, in mezzo una fitta nuvola di polvere.

70 anni dopo...
Nel girare verso il nord sul cammino, bagnato da poco, un profilo fantomatico di croci e pini, circondato da un’alta mura imbiancata, apparve sull’orizzonte.
Parcheggiai la macchina proprio dirimpetto al vecchio portàle del Camposanto di Colonia Rosa. Attraverso la grata, socchiusa, intravide il sentiero centrale ricamato di monumentali panteoni oramai ricoperti di rugine e verderame, più in la c’era una schiera di tombe basse e al di là la campagna settolosa.
Mia mamma sistemò un garofano rosso sulla tomba bassa, imbiancata da poco, allineata ad altre nei confini stessi del cimitero.
Dopo un tratto di silenzio si allontanò...senza fretta alcuna.
La cinta muraria del cimitero finiva pochi metri più a Nord. Di fronte, a sinistra, una palizzata faceva da portale di una specie di “propileo” di “eucaliptus” che arrivava fino al casolare. Laggiù nel gregge, una trentina di mucche aspettavano di essere munte.
La distanza avrebbe fatto inutile battere le mani, percui decisi attraversare quel “pronao” di tetto forato e suolo ricoperto di croccante fogliame.
Il profumo della compagna si faceva sentire al naso. Il bel canto di una “calandria” e gli stridenti squilli dei parrucchetti, ci accompagnarono fino ad arrivare alla spianata.
Il sole calante picchiava negli occhi mischiando, incredibilmente, i colori della sera in un caleidoscopio primaverile.
Almeno tre cani ci vennero rumorosamente incontro. Pensavo proprio a quello di “cane che abbaia non morde” quando un giovanotto vestito da lavoro apparve dal nulla per tranquillizargli.
Scendemmo dalla macchina e andammo verso di lui cercando rapidamente l'ombra proiettata della casa.
- Buona sera,...siamo venuti da lontano...è proprio Lei il padrone di casa?... Chiesi.
- Il padrone è mio padre...vado subito a chiamarlo...vi prego, rimanete un attimo qui... Rispose e girando sui tacchi degli stivali sporchi andò verso l'uomo che montava un “abbruciaticcio” per condurre le mucche nel gregge.
Io guardavo meravigliato quell’insieme edile. Ad un primo sommario esame, l'edificio sembrava una classica abitazione italiana databile al XIXmo. secolo.
Facciata ad ordine “tripartito” eretta in mattone a crudo, tre panni di muro erano separate a intervalli regolari da quattro pilastri che partivano da un zoccolo sporgente e finivano sotto il cornicione ed il parapetto superiore.
Al centro della composizione e proprio sull’arco della porta d’ingresso, c’era un cuore, scolpito sulla cortina laterizia e dipinto di rosso. Ad ogni fianco, due finestre ingratate ad archi sagomati. Non so perche mi pareva tanto bella...
Vidi loro scambiare parole, dopodichè il padre smontò togliendosi la polvere d'addoso con il cappello. L’uomo avrà avuto quarant’anni, capelli biondi ed occhi azzurri che contrastavano con il volto pallido e le guancie arrossiti dal sole.
- Molto piacere, sono Affaticati... Si fermò davanti a noi offrendo la mano grinzosa.
- Molto lietto...lei è mia mamma Carolina...zia Enrichetta...mia cugina Elena ed Ana...mia “dolce metà”... Dissi quasi senza tirare il fiato ed aggiunsi Siamo venuti al cimitero ed abbiamo pensato che forse Lei ci permetterebbe visitare la casa...
- Ci mancherebbe altro...anche se devo dirvi che non è in vendita...l'abbiamo comprata poco fa e ci piace moltissimo... Rispose l’uomo ancora un po’ stordito.
Dall'altra parte della spianata appare una donna bassa e giovane come lui, assieme ad un bambino che la teneva fortemente per mano.
- Di sicuro la padrona di casa - Ho subito pensato.
- Questa gente vorrebbe visitare la nostra casa... Disse Affaticati alla moglie che lo guardava fissamente negli occhi.
- Certo...ma non guardare il disordine che c'è... è domenica e non ho avuto ancora tempo di sistemare niente... Rispose gentilmente.
La seguivamo tra bellissimi massetti di fiori fino alla loggia posteriore, affaciata sul cortile circondato da un tesuto di filo d’acciaio.
Laggiù, mucche e vitelli pascolavano tranquillamente mentre il sole tramontava come ogni sera di ogni giornata.
La voce dell’uomo fece a pezzi l’incanto molticolore che mi teneva preso da un bel tratto.
- Qui c'era il pozzo d’acqua...ormai chiuso per la pericolosa contaminazione… la cucina, invece, sembra di essere stata sempre la...noi invece abbiamo fatto un bagno più moderno a fianco della stanza letto e contemporáneamente abbiamo smantellato l'antico cesso che c'era la, in mezzo il boschetto di “paraisos disse voltandosi verso di noi ...Di quà si passa alla sala nonchè ad altre stanze da letto...vi prego, entrate…
Con Affaticati facendo da “cicerone”, attraversiamo porte antiche “a due battenti” passiamo da una stanza ad altra con dei sofitti ben curati quanto mantenuti di grosse travi di legno verniciate alla calce. Dalle travi centrali e al posto della lampada a gasolio ora pendeva una lampada elettrica.
Accarezziamo quei grossi muri di 45 cm, intonacati ed imbiancati tante volte. Il pavimento, anticamente fatto in mattone “a crudo”, ora appariva coperto di cemento la cui lucidità lasciava vedere l’ondeggiante superficie.
Dalla porta principale raggiungiamo la spianata frontale da dove eravamo partiti. L'ombra progettata dall'edificio, arrivava fino ai primi “eucaliptus”.
- Credo il capanone sia stato eretto nel contempo...dico per le dimensioni dei mattoni ed il portone fatto in lamiere...Sembra di aver avuto il compito di custodire le macchine e le ferramente... Fu il riferimento più logico sulla costruzione che chiudeva la spianata a Sud.
- Le siamo molto graditi amico...Lei non sa cosa ha fatto per tutti noi... Gli dissi, facendo finta di non essere commosso.
Gli occhi azzurri dell'uomo si aprirono enormemente quando vide qualche lacrima che scorreva sul viso di mia mamma e si affrettò a rispondere.
- Per carità...non abbiamo fatto niente...siete appena arrivati e già siete pronti a partire...?
- No...Lei non capisce...noi due siamo nati proprio qui...circa ottant'anni fa, nostro padre eresse questa casa, il cesso, il pozzo ed il capanone...tutto…tutto fatto con le sue proprie mani...se persino i mattoni furono fatti da lui stesso!...ed ora riposa li...
Enrichetta accenava il cimitero con la mano tremante.
Come colpito da un fulmine, Affaticati rimase stupito, zitto...in seguito si riprese, si voltò e rientrò alla casa pressochè di corsa. Quando riapparve, portava con se una piccola scatola di metallo che offrì a mia madre, che asciugava le lacrime con il suo fazzoletto.
- Quando fu abbatuto il cesso l’abbiamo trovata tra le macerie...era sotterrata vicino ad un “paraiso”...un pezzo di carta ed una fotografia ci sono ancora dentro...guardate un po'!
Dalla vecchia fotografia, macchiata e scolorita, un’uomo in giacca nera, coi baffi abbondanti e gli occhi chiari, ci guardava con tenerezza...
- E’ mio papà...! - Disse - questa è proprio la scatoletta che sotterai proprio quel giorno della mia partenza...Pensavo di tornare qualche invece…son passati tanti anni...Mi ero quasi dimenticata!...grazie... - diede un bacio all’uomo mentre distendeva quel pezzo di carta rigata che mi costrinse a leggere a voce alta. Per la prima volta io recitai quei versi usciti dalla penna di mio nonno:

“Teren”

Vola, vola amico caro, come il vento, vola...vai
Verso il sole e l’ orizzonte senza fine...come il mar
Vola, sempre più in alto, nel volar mi fai cantar
Mio bel paese collinare...non ti si può scordar!

Vola, vola, amico caro, crini al vento, vola...vai
Il tuo nome, mi riporta, nostalgie da lontan
Bei pensieri, bei ricordi, che oltremare se ne van
Mio paese collinare...sotto il monte ancor ci stai?

So che un giorno, assai lontano, verso l'alto partirai
Ma per sempre, amico caro, nel mio cuore resterai
So che un giorno, assai vicino, potrò anch’io ritornar
Al mio paese collinare...che in passato io lasciai
L’uomo di capelli biondi ed occhi azzurri passò il braccio sulle spalle della moglie, che teneva il piccino ancora per mano, e salutò la partenza della mia macchina che scomparve sulla strada polverosa del cimitero.

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