"Escribid con amor, con corazón, lo que os alcance, lo que os antoje. Que eso será bueno en el fondo, aunque la forma sea incorrecta; será apasionado, aunque a veces sea inexacto; agradará al lector, aunque rabie Garcilaso; no se parecerá a lo de nadie; pero; bueno o malo, será vuestro, nadie os lo disputará; entonces habrá prosa, habrá poesía, habrá defectos, habrá belleza." DOMINGO F. SARMIENTO



jueves, 24 de diciembre de 2009

FESTE NATALIZIE

Quando ero un bambino aspettavo queste feste con ansia...o meglio, aspettavo i regali che ci avrebbe portato Gesù Bambino...
Quando ero un ragazzo non vedevo l’ora di brindare con i miei per andare di corsa dalla mia fidanzata.
Quando sono cresciuto cominciai ad assaporare l'amaro della mancanza di chi, purtroppo, già non era più tra di noi.
Man mano che sono passati gli anni, solo aspetto il regalo più bello che possa ricevere in questa vita: l’arrivo della famiglia allargata, mia mamma ormai anziana, mia moglie, il ritorno al nido dei nostri fligli, le loro ragazze...
Perciò stavolta rinuncio ai titoli complicati, anche perchè il messaggio in queste feste debe essere semplice: tanti auguri a tutti!
Che possiate vivere la bellezza delle cose in ogni momento, trovando anche in mezzo ai problemi a forza di andare avanti e di sorridere.
Carissimi utenti, vi auguro Buon Natale e Buon Anno 2010.

LOS SECRETOS DE LA CATEDRAL

La noche del 22 de Diciembre de 2009 -en la Sede del Colegio de Arquitectos del Distrito 5, Rafaela- por fin fue presentado en sociedad el libro “Los Secretos de la Catedral” de mi autoria.
La oportunidad de estudiar la Catedral en la que fui bautizado, tome la primera comunión y fui confirmado, llegó una noche de 1.987.
Entonces yo presidía la Asociación de Profesionales de la Ingeniería (API) y el Cura Párroco de nuestra Catedral, Mons. Idelso Juan Re, se presentó en nuestra sede sumamente preocupado y con el firme propósito de convocarnos a observar lo que estaba ocurriendo en el edificio de la Iglesia Mayor de la Diocesis. Allá fuimos junto al Ingeniero Homero Ingaramo.
Desde aquellos días y por mas de 20 años, la recorrí palmo a palmo, descubriendo nuevas y sorprendentes respuestas sobre su historia, su diseño y construcción.
Me interne en sus entrañas y pude percibir la textura de sus materiales, cerré los ojos y pude imaginar a aquellos artesanos en pleno tarea. Casi pude escuchar, en el silencio de su inmenso interior, las voces y rumores de la magnifica obra que aquellos hombres edificaron mas de 100 años atrás.
Volvía a la realidad con algun habitual encuentro con Francisco Curletto, nuestro querido "Pancho", el sacristán, parte de la historia misma de esta Iglesia.
Él, con su habitual precisión, dejaba fluir recuerdos, anécdotas y datos que nadie conocia como él.
Al inicio de los estudios ignorábamos la existencia y destino de los planos originales del templo. Después de un tiempo “prudencial”, Pancho puso en mis manos un gran rollo de planos que había guardado y preservado celosamente hasta el momento “oportuno”.
Yo fui el feliz destinatario de esa confianza y de ese tesoro que sirvió para ilustrar muchas de estas páginas.
Tantos elementos y esa sensación de confusión, ansiedad y desorden de ideas en tropel.
El Obispo Diocesano, Monseñor Héctor Romero y el, por entonces Canciller, Pbro. Alcides Suppo, abrieron los archivos del Obispado de Rafaela e inmediatamente llegó hasta mí ese inconfundible aroma a humedad y paso del tiempo.
Palpe cuidadosamente cada documento, mis ojos recorrieron con avidez cada renglón de cada página firmada de puño y letra por los hacedores del Nuevo Templo Católico de Rafaela. Allí están las notas con la rubrica del mismísimo Padre Dimas Mateos.
Creo que fue el instante sublime que encendió mi decisión de revelar a todos el gran descubrimiento.
Consideré que Rafaela merecía un libro ilustrado sobre su Catedral. O no son acaso, las Iglesias, los edificios públicos más relevantes de las ciudades y pueblos?
Buenos Aires, Cordoba, La Plata y nuestra italianísima ciudad “gemela”, Fossano, lo tienen.
Decia Honorato de Balzac: "Un buen libro es una victoria conseguida en todos los campos de batalla del conocimiento humano", yo me sentiría muy feliz y satisfecho si el lector extrajese un solo dato interesante de estas páginas ilustradas.
Antes de finalizar el acto de presentacion, entregue a Monseñor Franzini, los planos y documentos que me sirvieron para la investigacion realizada. Ellos deben quedar en custodia en los archivos del Obispado de la Diocesis para que en el futuro otros investigadores puedan profundizar en ellos.
Dichos documentos fueron acompañados por un inventario firmado por el Obispo Diocesano, Mons. Carlos Franzini, el autor del libro Arq. Jorge Garrappa y el Presidente del Colegio de Arquitectos del Distrito 5, Arq. Daniel Henzenn.

sábado, 21 de noviembre de 2009

SELEZIONE DI 10 CORRISPONDENTI TRA I GIOVANI LOMBARDI

L'Associazione Mantovani nel Mondo organizza il “Corso di formazione per Corrispondenti lombardi per la promozione della Regione Lombardia in Argentina, Uruguay, Paraguay e Brasile” finanziato dalla Regione Lombardia.
Il Corso, della durata di 15 giorni, si realizzerà a Buenos Aires nel mese di febbraio 2010 ed è diretto a 10 giovani lombardi residenti in Argentina, Uruguay, Paraguay e Brasile.
Il principale obiettivo del corso è “promuovere la Regione Lombardia all’estero attraverso la presentazione dello Statuto Regionale, la descrizione del funzionamento del sistema produttivo regionale e la presentazione delle opportunità offerte dalla Regione nei settori: impresa, università, servizi ecc.”
In questo modo si vuole offrire ai giovani di origine lombarda informazioni utili, inerenti alla Lombardia, da promuovere nei propri territori e l’opportunità di collaborare, con una borsa di studio prevista dal progetto, con la redazione giornalistica del Portale dei Lombardi nel Mondo.
Risultati attesi:
-Formare giovani corrispondenti in grado di promuovere il sistema Regione Lombardia nei propri territori e, allo stesso tempo, di offrire, attraverso il Portale dei Lombardi nel Mondo, informazioni utili inerenti i propri Paesi d’origine alla Regione e alla comunità italiana in generale;
-Raccogliere la “memoria” del passato sviluppando la conoscenza del presente dell’emigrazione lombarda;
-Aprire il cammino dei giovani verso una possibile professionalità nella ricerca dell’informazione testimoniale e soprattutto nella trasformazione di essa in prodotti audiovisivi e grafici;
-Produrre una informazione mirata alle necessità della comunità lombarda per permettere la preparazione di interventi futuri (Ponti interscolastici, Formazione di giovani imprenditori, supporto a imprenditori piccoli e medi nei rapporti con la Regione);
-Promuovere il consolidamento delle relazioni con la Regione Lombardia, la diffusione delle informazioni della Regione e la valorizzazione delle opere realizzate dai lombardi e dai loro discendenti in Argentina, Uruguay ,Paraguay e Brasile.
Il coordinamento del progetto verrà realizzato dall'Associazione Mantovani nel Mondo in collaborazione con Enaip Argentina.
Lo Start up del progetto:
1)Selezione corsisti: novembre -dicembre-gennaio 2009
• comunicazione ufficiale del progetto ai referenti AMM;
Argentina:
-Rafaela: Giorgio Garrappa (jgarrappa@hotmail.com)
-Mar del Plata: Fernando Rizzi (fernando_rizzi@hotmail.com)
-Buenos Aires e La Plata: Fabio Borroni (fabioluis2000@yahoo.it)
-Pergamino: Lidia Piatti (lidiapiatti1@hotmail.com)
-Rosario: Franco Tirelli (tirelli@estudio.tower.com.ar)
Uruguay:
-Montevideo : Daniela Chierichetti (dc@amerit.com.uy )
-Tacuarembo': Marta Ambrosini (italarm@adinet.com.uy)
Brasile:
-San Paolo: Ricardo Monezzi (rmonezzi@uol.com.br )
-Porto Alegre: Mirella Riboni (riboni@terra.com.br) e
-Amalia Laitano (amalia.laitano@via-rs.net)
Paraguay:
-Concepcion: Alberto Poletti (alberto_poletti@hotmail.com)
Modalità selezione:
• pubblicizzazione del corso attraverso i mezzi di comunicazione dei rispettivi Paesi (avviso alle istituzioni italiane, alle associazioni lombarde, ai patronati, alla stampa italiana ecc.);
• invio comunicazione ufficiale in cui si presenta il corso, si specificano gli obiettivi e si dettagliano i requisiti dei partecipanti; nella comunicazione il referente locale metterà i suoi dati affinché l'interessato possa contattarlo;
• inizio processo di selezione alunni in collaborazione con i referenti locali di ogni Paese;
2)Periodo corso: da lunedì 8 febbraio a sabato 20 febbraio 2010
Arrivo a Buenos Aires sabato 7, partenza domenica 21
3)Destinatari: n° 10 alunni possibilmente così suddivisi:
5 argentini
2 uruguaiani
1 paraguaiano
2 brasiliani
Requisiti:
• Età: dai 18 ai 35 anni
• comprendere l'italiano
• cittadinanza italiana: i partecipanti al corso devono essere cittadini italiani di origine lombarda
4)Enti organizzatori
Il coordinamento del progetto sarà svolto da:
• Associazione Mantovani nel Mondo: nella figura di Marta Carrer:
Tel: (0054) 11 4806-0241
Cell: (0054 9 )11 58060241
e-mails: mcarrer@hotmail.com
americalatina@lombardinelmondo.org
• Enaip Argentina: il corso si realizzerà nella sede di Enaip:
Sede Central
C.Pellegrini, 445, 8° “B”
(C1009ABI) Buenos Aires – Argentina
Tel./Fax: (0054) 11 4393-5566
e-mail: enaiparg@gmail.com
Per maggiori informazioni, prendere contatto con:
Jorge Alberto Garrappa
Portale Giornalistico Lombardi nel Mondo
Associazione Mantovani nel Mondo
jgarrappa@hotmail.com
jgarrappa@arnet.com.ar

sábado, 14 de noviembre de 2009

LA DOMANDA GIUSTA AL MOMENTO GIUSTO

Da tempo sono fermamente convinto che in ogni grande evento storico dell’umanità c'è sempre stato un italiano. Possiamo far riferimento a uomini notissimi come il genovese Cristoforo Colombo, i fiorentini Americo Vespucci, Dante Alighieri, Filippo Brunelleschi o Leonardo Da Vinci, il pisano Galileo Galilei, il veneto Marco Polo, il comasco Alessandro Volta o il bolognese Guglielmo Marconi. Anche in Argentina possiamo ricordare i liguri Antonio Luigi Berutti ed Emanuele Belgrano. Poco tempo fa seppi che un italiano era stato il responsabile ad inviare il primo uomo alla Luna: il lucano Rocco Anthony Petrone.
Qualche giorno è passato dal ventesimo anniversario del crollo del Muro di Berlino che divise -dal 1961 fino al 1989- la capitale della Germania Occidentale.
Oggi ho scoperto che era stato un italiano a far la domanda che, in qualche modo, ha contribuito al crollo di quel muro della vergogna: il toscano Riccardo Erhman.
Il corrispondente italiano dell’Ansa a Berlino era nel suo ufficio quel giovedì 9 novembre 1989, quando venne indetta la conferenza stampa dal membro del Politburo e responsabile stampa della Repubblica Democratica Tedesca, Günter Schabowsky.
Il governo comunista, vacilla sotto il peso di proteste e pressioni cittadine che chiedono maggiore libertà di movimento. Alle 18:53, il funzionario sovietico ha appena fatto sapere che “per accontentare i nostri alleati è stata presa la decisione di aprire i posti di blocco”.
E sopravviene la domanda inaspettata da tutti. Tra i tanti presenti in sala, si alza in piedi un cronista italiano e prende la parola: “Quando queste restrizioni saranno tolte?”.
Schabowsky, perplesso, sapeva che non era stato precisato in nessuno dei suoi comunicati quel “piccolo dettaglio”.
Guardò negli occhi il giornalista ed avvicinandosi al microfono disse: “Per quello che ne so io anche da subito”.
Dopo un istante di esitazione, migliaia di berlinesi che stavano guardando alla televisione la conferenza stampa, decisero di lanciarsi in strada.
Riccardo Ehrman, si precipita in ufficio e chiama l’Ansa che diffonde alle 19.19 -31 minuti prima delle altre agenzie internazionali- la notizia tanto attesa dal popolo tedesco: “La Germania orientale ha deciso di aprire il confine con la Repubblica Federale Tedesca per lasciar passare i suoi cittadini che vogliono emigrare in occidente (…)”.
Un mare di gente riversata per strada, pronto ad abbattere quel muro insensato sotto la pioggia, portò Ehrman in trionfo per le strade della città, riconosciuto dalla gente come il loro portafortuna.
Finiva così la follia di una barricata di cemento, disegnata per dividere fittiziamente, per 28 anni, il popolo tedesco.

sábado, 7 de noviembre de 2009

TUTTI SIAMO UN PO' PIEMONTESI

Che a Rafaela, la “Perla dell’Ovest” della Provincia di Santa Fe, c’è una stragrande collettività italiana, lo sanno tutti.
Che ad essa si sono recati veneti, marchigiani, lombardi, laziali, emiliani, abruzzesi, friulani, siciliani, campani o pugliesi, lo si sa pure bene.
E’ anche palese la consapevolezza che la maggioranza delle famiglie italiane che risiedono a Rafaela e dintorni sono di origine piemontese.
E’ anche ben saputo che molti italiani, provvenienti d’altre regioni del “Bel paese”, imparavano il dialetto piemontese per motivi di lavoro oppure sociali
Dal 1996, la città è gemellata con Fossano (Cuneo) e, da quel momento, non c’è un fossanese che -in gita per l’Argentina- non passi per Rafaela.
Lo stesso capita con i rafaelini che vanno in Italia e che, anche se per un soggiorno limitato, hanno sempre bisogno e si fanno sempre tempo di andare a Fossano.
Dal ’96, la sinergia tra le amministrazioni comunali di Rafaela, con a capo i Sindaci –di origine piemontese- Omar Perotti e Ricardo Peirone; il Comune di Fossano condotto prima dal Sindaco -ormai scomparso- Prof. Giuseppe Manfredi ed ora da Francesco Balocco; e la Federazione Internazionale Piemontesi nel Mondo, presieduta dal Dott. Michele Colombino, riusci a dare una forte spinta a questo processo di fratellanza che man mano fu sviluppandosi nei vari campi della cultura, l'educazione, la formazione, nonchè il lavoro.
In quel momento tutti gli italiani di Rafaela, senza alcuna distinzione, offrirono le loro case per ospitare i piemontesi che venivano a trovarci.
Poi anche loro ricambiarono, offrendo le loro case per ospitarci quando siamo andati in Piemonte.
La conoscenza diventò, a poco a poco, amicizia e l’amicizia senz’altro, fratellanza. Fratellanza, talmente forte, che ci sembra di fare parte della stessa familia, al di qua e al di la del mare.
A noi è capitato spesso di ospitare piemontesi. Per prima abbiamo ospitato Paola e Martino Origlia, cognati di Maria Teresa e Nino Gregorio. Poi ci sono stati Giusy e Sergio Rittano che accompagnavano Clelia ed Angelo Ferrero, ed infine, con la venuta degli sbandieratori, Silvana, Marinella e Renato Boggia. Tutti loro, a casa di un lombardo-pugliese sposato ad una piemontese DOC.
Al rientro, ogniuno portò con se un piccolo pensierino ma molto caro a noi: la chiave di casa nostra.
Questa chiave non solo serve a spalancare la porta di casa, ma anche il nostro cuore pieno di affetto e di ringraziamento infinito verso di loro.
L’ultimo nostro viaggio in Italia, come al solito, andò a finire a Fossano. La domenica 20 settembre 2009 c’eravamo al festeggiamento dei 60 anni di Angelo Ferrero, compresi il Sindaco Francesco Balocco ed il Presidente dei Piemontesi nel Mondo, Michele Colombino.
Quando sentì il Gr. Uff. Michele Colombino pronunciare il mio nome, ho rimbalzato sulla sedia.
In seguito, lui e Balocco mi consegnavano con grande solennità una medaglia e l’attestato di benemerenza come “fedele interprete ed ambasciatore prestigioso dell’altro Piemonte nel Mondo”.
Molto emozionato e con il nodo in gola, ho ringraziato quel gesto e quella onoreficenza non meritata.
Sono convinto che anche se il sangue che scorre nelle nostre vene sia lombardo, pugliese o d'altra parte d'Italia, la piemontesità farà sempre parte della nostra vita.
Grazie a tutti.

sábado, 31 de octubre de 2009

IL PROF. JORGE GARRAPPA ALLA VI EDIZIONE DELL'UNIVERSITE D'ETE 2009

Jorge Alberto Garrappa Albani è architetto, storico e professore presso l’Universidad Catolica de Santa Fe. Fa anche parte dello staff della Redazione del Portale Giornalistico Lombardi nel Mondo (Area Argentina-Uruguay) dal 2004. In quell’anno, il Presidente dell’Associazione Mantovani nel Mondo Daniele Marconcini, lo convocò a Mantova e, da quel momento, “Giorgio” -come lo chiamano tutti- ha pubblicato oltre 700 articoli sull’emigrazione, la cultura, l’economía, la politica, l’architettura e l’associazionismo italiano in Argentina.
Marta Carrer, caporedattrice del Portale, l’ha incontrato in Italia in occasione della VI Edizione dell’Universitè d’Etè svoltasi ad Erba (Como) nel mese di agosto 2009. Ecco l’intervista.
Qual’è stato il motivo del tuo viaggio in Italia?
Direi i motivi, perchè sono stati parecchi. Il primo fu l’invito, da parte di Daniele Marconcini, di visitare Mantova durante il Festival di Letteratura e la Fiera di Gonzaga dove l’Associazione ha montato un importante stand. Poi c’è stata la partecipazione -come relatore invitato- alla VI Edizione dell’Universitè d’Etè, ad Erba.
Oltre a questo, dovevo pure andare nella terra degli avi paterni... cioè in Puglia, per trovare la Dott.ssa Maria Rita Campa ed il Prof. D’Amato, entrambi appartenenti all’Università di Bari, con lo scopo di avviare un’accordo interuniversitario di cooperazione e formazione.
Ovviamente qui ho parenti ed amici che sempre, quando vengo in Italia, faccio una scappatina a trovarli.
Come mai è stata presentata una relazione sull’Argentina in un evento prevalentemente europeo?
Anche per me è stata una sorpresa e mi sono sentito onorato di questo invito ad un evento internazionale di così grande importanza come la Settimana Europea sul Paesaggio che si fa ogni anno ad Erba.
Ma mi sento in obbligo di sottolineare che molti amici hanno reso possibile la mia partecipazione a questo Colloquio di Arosio sul Paesaggio, cominciando dalla Dott.ssa Maria Elena Milano, della Regione Lombardia e la professoressa Silvana Garufi, del Politecnico di Milano. Entrambi responsabili del Convegno assieme all’Associazione Mantovani nel Mondo e, logicamente, il Presidente Daniele Marconcini. A tutti loro, i miei più sentiti ringraziamenti.
Credo che il mio intervento -presentato in anticipo al Presidente della Fondazione FEIN, Avv. Giovanni Bana- sia particolarmente piaciuto per cui è stata approvato dal Comitato Scientifico europeo.
Secondo te, quali sono stati i motivi che hanno suscitato l’interesse degli organizzatori per la tua relazione?
Secondo me perchè dipinge la cruda realtà argentina e i motivi per cui il paesaggio culturale e naturale è stato modificato negli ultimi anni. Descrive sinteticamente come il problema della sicurezza sociale ha fatto sì che, migliaia di cittadini, abbiano deciso di spostarsi al di fuori dei centri urbani. E’ tale la paranoia dei cittadini urbani che, in nome della sicurezza, hanno perfino alzato il “muro della vergogna” tra due quartieri di Buenos Aires, aumentando la segregazione sociale anzichè contribuire a risolvere il problema.
Poi ho toccato il problema dell’avvelenamento di certe specie come rospi e pipistrelli, che contribuisce a diffondere il “Dengue”, tanto da diventare una vera pandemia. Ho percepito chiaramente che tutti i paesi europei sono molto preoccupati per la mancanza d’acqua e noi, l’acqua, ce l’abbiamo in Patagonia. Perciò molte imprese private stanno investendo in quelle terre senza che il governo argentino se ne accorga oppure peggio, sia d’accordo a privatizzare le fonti di una risorsa nazionale come l’acqua.
Ho anche detto che ci sono delle manovre politiche mirate ad aumentare la piattaforma continentale delle Isole Malvinas da parte della Gran Bretagna. Ciò punta a raggiungere i giacimenti petroliferi in mare e ad avere diritti sul territorio Antartico, fonte infinita di risorse naturali.
Qual è il bilancio sull’incontro di Erba?
Molto positivo, in tutti i sensi, perchè potrò portare in Argentina l’orientamento ed il pensiero europeo sul paesaggio e la sinergia tra gli enti di ricerca e pianificazione con il Governo ed i Comuni coinvolti.
Al termine delle giornate nell’ambito della Settimana Europea sul Pesaggio si sono potute tracciare, le seguenti linee guida:
- la riscoperta delle eccellenze culturali dei singoli Comuni e delle partecipazioni del ruolo della popolazione, con un’analisi di un paesaggio comune sia all’interno che all’esterno dei singoli Comuni
- l’unilateralità di intenti al di fuori di sterili campanilismi che non fanno sistema
- la riscoperta e la tutela del paesaggio agrario per una forte connessione con il mondo cittadino
- il recupero dei legami dell’agricoltura con la popolazione locale: allevamento, orticoltura, florovivaismo, natura aperta
- l’enogastronomia come fonte di contatto con il cittadino
- la valorizzazione dell’associazionismo locale in un sistema del volontariato condiviso nell’ambito dei 23 Comuni del Protocollo d’Intesa
- la riconferma della validità della Settimana Europea del Paesaggio (21-29/08/2010) con vari eventi nei singoli Comuni incentrati sull’Université d’Été e, per finire, la conferma della VII edizione 2010.
Porterò anche con me l’onore di aver raccolto il più vivo ed apprezzato consenso per la mia relazione che sarà introdotta negli atti editi da Bruylant Bruxelles.
Ricordo che il Convegno di Erba s’è svolto sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e che si è aperto con il saluto del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e del Ministro Sandro Bondi.
Che cosa ci racconti della visita a Mantova e a Gonzaga?
Mantova è una delle città più belle d’Italia. La città di Virgilio e dei Gonzaga è colta, con tutta la storia secolare aggrappata al ciottolato che copre le sue stradine e piazze. Inoltre a Mantova c’è uno dei più noti capolavori di Leon Battista Alberti: la Chiesa di Sant’Andrea, ora in fase di restauro. Per me, architetto, è sempre sconvolgente toccare le mura, guardare le finiture del Mantegna e sentire il profumo del tempo che abita nelle sue viscere da 600 anni.
Come scrittore, mi interessava anche essere presente al Festival della Letteratura più importante d’Italia. Per fortuna quest’anno ce l’ho fatta e, per la prima volta, mi sono goduto quest’immersione nella letteratura del nostro tempo.
Infine, benchè il mio sangue sia bergamasco, mi sento proprio adottato da questa città circondata da laghi che mi ha sempre accolto con grande affetto.
Gonzaga invece l’ho vista solo di passaggio per la Fiera Millenaria che ospitava il convegno -organizzato dall’Ass. Mantovani nel Mondo- sulla “Grande Esposizione Internazionale di Milano 1906". Professori e dottori dell’Università degli Sudi di Milano esaminarono i risvolti più importanti di quella esposizione.
Infine la tappa nel tuo amato Sud...
Sì, ma non prima di andare a trovare mio figlio Giorgino che arrivava a Roma, dall’Argentina, per poi trasferirsi a Foggia per tre mesi grazie a una borsa di studio, offerta ai giovani italiani di origine pugliese, per studiare la lingua e la cultura italiana.
Dopo una settimana a Roma, anch’io mi sono trasferito in terra degli ulivi e degli avi paterni, per trovare la Dott.ssa Maria Rita Campa di cui sto traducendo un testo di studio sull’architetto francese Philibert De l’Orme. E’ stata proprio lei ad offrirsi per aiutarmi a gestire un accordo tra l’Università Cattolica di Santa Fe e l’Università di Bari con lo scopo di avviare l’accordo interuniversitario di cooperazione e formazione. Spero di cuore tutto proceda per il meglio e che si possa arrivare al traguardo tanto desiderato...
E poi l’ultimo grande Incontro: il mare, che mio nonno definiva una “tavola blu”. L’Adriatico. Sempre bello e calmo questo mare e soprattutto quello della costiera del Gargano che, da Manfredonia fino a Vieste, offre al visitatore forse il più bel paesaggio al mondo. Faraglioni, spiaggie sabbiose, dirupi bianchi e foreste verdi si combinano perfettamente in continuazione da farmi pensare di stare in paradiso!
Come vedi, sono sempre più innamorato di quest’Italia che mi è stata trasmessa col sangue di genitori e nonni, che un giorno dovettero lasciarla per andare in America a guadagnarsi il pane che non c’era.
Un altro appuntamento e poi il grande Rientro...
In Piemonte ho molti amici, tra cui i Rittano e i Ferrero, a cui voglio tanto bene ma c’è anche un altro motivo che mi lega a questa Regione: la città di Rafaela (Santa Fe) è gemellata con Fossano (Cuneo) dal 1996 e, da quel momento abbiamo un rapporto molto stretto con i piemontesi. Stavolta avevo un motivo molto speciale per visitare Fossano: il sessantesimo compleanno dell’amico Angelo. Ciò ha fatto sì che io rimandassi la partenza programmata del rientro a casa di tre o quattro giorni ma questo cambio di programma mi ha regalato una grande sorpresa!
C’erano al festeggiamento il Sindaco di Fossano, Francesco Balocco, e il Presidente dei Piemontesi nel Mondo, Michele Colombino e quest’ultimo mi distinse, a sorpresa, consegnandomi un attestato di Benemerenza come “fedele interprete ed ambasciatore prestigioso dell’altro Piemonte nel mondo”. Ero talmente commosso che non feci altro che piangere perchè davvero questo riconoscimento non me l’aspettavo.
Insomma, un viaggio che come ho sempre detto è di ritorno più che di andata. Ditemi “bentornato” anzichè “benvenuto” perchè ogni volta che vengo in Italia mi sembra di esserci stato da sempre...

sábado, 12 de septiembre de 2009

XXI SECOLO: RIPOPOLIAMO LA CAMPAGNA?

In seguito la relazione del Prof. Arch. Jorge Alberto Garrappa, docente dell'Universidad Catolica de Santa Fe (Repubblica Argentina) presentata ad Erba, Provincia di Como in Regione Lombardia (Italia), il 28 agosto 2009.
All'Université d’été: colloqui di Arosio sul Paesaggio, VI Edizione - 2009, presieduto dall'avv. Giovanni Bana (foto), stettero anche presenti rappresentanti delle diverse comune del territorio lombardo nonchè della maggior parte delle regione italiane. Ecco il testo.

Ormai le grandi estinzioni delle speci animali sulla terra sembrano lontanissime come gli immani cambiamenti geomorfologici, fisici e chimici.
L’uomo moderno ha cambiato il proprio rapporto con il territorio e ha trasformato il paesaggio…eccome!
Oggi abbiamo un paesaggio agrario diverso, mutevole, antropizzato, prodotto dalle vicende della storia e dall’economia del Paese.

Il granaio del mondo
Andando indietro nella storia dell’America Latina, l’Argentina del 1880, sotto il motto “governare è popolare”, diventava un Paese agrario, produttore di materia prima, guadagnandosi il nome di “Granaio del Mondo”.
Molti pensano che questo ruolo le venne assegnato dalle potenze europee che allora comandavano il mondo industrializzato.
Persino il disegno originale della struttura ferroviaria argentina -fatta dagli inglesi e francesi- formava una sorta di “ventaglio” od “imbuto”, il cui vertice finiva nel porto esportatore di Buenos Aires.
A quell’epoca il paesaggio agrario era assolutamente diverso da quello di oggi, e gli agrari –maggiormente emigrati italiani- abitavano e lavoravano in mezzo a quella campagna immensa, da poco civilizzata, intorno a piccoli casolari e paesi che funzionavano da supporto alle loro unità produttive.
L’agricoltura ebbe però un cambio qualitativo durante quella rivoluzione industriale agricola del XVIII e XIX secolo ma è nel XX, quando si sviluppa un’agricoltura di alti consumi -chiamata “rivoluzione verde”- e verso la fine del XX secolo e principio del XXI, che cambia ancora con lo sviluppo della biotecnologia, cioè, dell’ingegneria genetica e la clonazione.

La febbre dei fumaioli
Nel 1914, sotto la presidenza di Roque Sáenz Peña, l’Argentina contava 7.904.000 abitanti e, nel 1947, presieduta da Juan Domingo Perón, raggiungeva una popolazione di 15.894.000 persone.
Oltre alla crescita geometrica della popolazione, a metà del XX secolo, il diffuso processo industriale svuotava la campagna e riempiva le città di “manovali” e “braccianti” che ormai volevano diventare “operai”.
La “febbre dei fumaioli” faceva così traslocare migliaia di persone e famiglie nei pressi della Capitale dello Stato nonchè delle altre “megalópolis” come Cordoba o Rosario, nella Regione Centrale.
Le maggiori possibilità di lavoro e benessere si erano spostate nei centri urbani per cui era preferibile essere “cittadino” più che “contadino”.
Meglio diventare chirurgo, avvocato od ingegnere che continuare a “lottare”, dal mattino alla sera, contro le forze della natura, le coltivazioni o l’allevamento del bestiame.
C’era stato un cambiamento della cultura, ma non solo; il campo serviva alle città ed ai fabbisogni del commercio estero dell’alimentazione, mentre le città dilagavano sulle pianure modificando il paesaggio agrario circostante.
I proprietari della terra ora risiedevano in città mentre i loro dipendenti adoperavano le unità produttive e, contemporáneamente, fornivano ai cittadini -tra cui i loro padroni- la materia prima destinata ad una alimentazione che migliorava sia nella qualità sia nella quantità.
Nascevano anche i mega-cinturoni periferici misti che prendevano il motto di “Gran”, cosi sorgono il Gran Buenos Aires, Gran Rosario, Gran Cordoba, Gran Mendoza e così via.
E all’estrema periferia, un nuovo cinturone marginale veniva ancora formato dalle cosiddette “villas miseria”.
L’Argentina ha una superficie di 3.761.274 Km2 e, secondo il censimento del 2001, una popolazione complessiva di 36.260.130 abitanti.
Conta nell’Area Metropolitana di Buenos Aires complessivamente ben 11.417.630 abitanti (la sola Capital Federal: 2.768.677 ed il Conurbano bonaerense: 8.684.953) mentre Cordoba ammonta 1.368.301 e Rosario 1.159.004 persone.

La diaspora cittadina
Negli ultimi anni, la “diaspora contadina” verso le città industriali, ha cominciato ad andare in retromarcia e non per scelte sociali, ma per un motivo ben diverso: la sicurezza.
Lo scoppio di “quartieri chiusi” -in sobborghi o zone rurali- chiamati “countryes” (quale riferimento a “Paesi” in lingua inglese), ha fatto sì che i cittadini diventino neo-contadini e, di conseguenza, modifichino il paesaggio rurale esistente.
Anche il paesaggio culturale urbano è cambiato molto. I centri storici e commerciali delle grosse città vengono ormai inquinati, non solo dalle auto o dal fumo delle fabbriche più o meno vicine, ma dai reati come i furti o sequestri “express” seguiti da morte.
A parte questo, le strade vengono talmente invase da “piqueteros”, gruppi di lava-vetri, travestiti, giovani alcoolizzati e drogati -per lo più violenti-, che hanno fatto sì che i (vecchi) residenti di queste zone privilegiate se ne vadano quanto più lontano.
Quelli che –per motivi economici- non ce la fanno ad andarsene, cercano invece di proteggersi in qualche modo.
Anche le più incredibili soluzioni si sono viste negli ultimi tempi nel Gran Buenos Aires quale l’erezione di un muro, alto due metri, lungo una strada tra due quartieri!
Ecco perchè molti decidono di spostarsi in campagna e preferiscono fare un congruo numero di chilometri al giorno per andare a lavorare, ma vivere in una realtà più accettabile.

Il nuovo paesaggio rurale
“Capiamo il paesaggio come l’ordinamento spaziale imposto o ambiente socialmente costruito che combina potere politico-economico con leggitimazione culturale che riconfigura elementi vernacolarii pre-esistenti con la finalità di creare un nuovo senso della esperienza di luogo” (Zukin 1996).
Lì, dove prima c’era un coltivato variopinto, ora c’è un abitato colorito in mezzo ad un parco ben curato, a fianco di un’autostrada ipertrafficata.
Come una costellazione, i “countryes” si diramano sulla campagna verde che circonda le grandi e le piccole città industriali dell’intero Paese.
A poco a poco, la vita intra-moenia di quei cittadini “emigrati”, va cambiando radicalmente: i nonni scappavano dai fantasmi della miseria e della fame in terza classe di un vascello fatto apposta per trasportare gente povera, i loro nipoti traslocano in un “country” in cerca di sicurezza.

In cerca di una vita al sicuro
Queste attività private sono simultaneamente rappresentative di operazioni di riqualificazione di aree suburbane non qualificate e della peri-urbanizzazione di settori medi in spazi staccati dalla centralità metropolitana.
Ecco gli obiettivi principali di questi quartieri chiusi:
• Sono circondati da una cinta muraria e cancelli, cioè, si mette in atto una forte barriera fisica.
• L’ingresso è ristretto a persone non autorizzate, rendendo più evidente e visibile la segregazione urbana.
• A volte, questi complessi, vengono eretti nei confini delle “villas miseria” per cui le differenze sociali si fanno più evidenti ancora.
• I suoi abitanti cercano l’omogeneità sociale ed uno stile di vita determinato.
• Costituiscono una “soluzione” alla problematica della sicurezza sociale urbana e privatizzano lo spazio pubblico.
Malgrado le previsioni prese dai pianificatori -nel disegnare il territorio- e degli investitori, la sicurezza sociale non si può mai garantire con una cinta muraria, ma con politiche sociali, educazione e controlli.
Nella prima decade degli anni ’80 c’erano solo una ventina di “countryes” nei pressi della Capitale dello Stato, ventisette anni più tardi ce ne sono oltre i 700.
Questi progetti occupano più di 350 km2, cioè 1,7 volte la superficie della complessiva Città di Buenos Aires.
Fino al 1991, erano ben pochi a vivere in questi quartieri privati in modo permanente, anzi, queste abitazioni erano considerate e usate come “case di campagna”.
Nel 1994, c’erano circa 1500 le famiglie residenti ed oggi sono oltre 400.000 persone, di cui 150.000 giovani e bambini che vi risiedono.

In cerca di una vita sana
Da questo processo di “trasloco” e riorganizzazione sociale risulta un nuovo tipo di uso sia delle città sia della campagna.
Si valorizza di più la rete meno densa del tessuto urbano, le aree all’aperto, il paesaggio prevalentemente verde e la vita più serena.
Si lasciano alle aree centrali della città le funzioni amministrative, il terziario, il commerciale, gli edifici pubblici, anche se ciò ci rende sempre più dipendenti dai mezzi di trasporto privati o pubblici, questi ultimi da noi già ossoleti.
Altri invece, che non vogliono vivere al chiuso delle città o dei “countryes”, decidono di comprare “chacras” –cioè piccole tenute- i cui antichi abitati vengono rifatti con tutti gli impianti moderni, per poi fare l’orto e l’agrumeto, nonchè coltivare qualche pezzetto di terra ed allevare figli e nipoti come all’epoca degli antenati, fruendo contemporaneamente di servizi moderni.

L’agriturismo
A causa dello stress che comporta la vita moderna, la “classe media cittadina” sceglie di ritrovarsi con il paesaggio naturale, di scoprire la convivenza con gli altri, di godersi dei buoni cibi tipici, il folklore, profumi e sapori diversi.
Sull’estensione del territorio argentino l’attività si sviluppa presso stabilimenti di diverso tipo, scala e categoria.
Sono oltre 500 le tenute di circa 50.000 ettari, campi medi, “chacras” d’allevamento di piccoli animali -di circa 1 ettaro- che sono attive, a volte da più di 200 anni.
Alcune abitazioni si caratterizzano per l‘architettura francese, italiana, inglese o di stile coloniale spagnolo, molto spaziose e arredate con lusso.
In ogni zona geografica del Paese è possibile trovare tipologie diverse, secondo il diverso ambiente naturale, dal nord asciutto e caldo fino al freddo oceanico del sud, passando dalla fascia centrale più tiepida.
Le attività di svago più richieste vanno dalla pesca alla caccia, dalle passeggiate a cavallo al trekking, l’osservazione e l’esplorazione della natura.

L’alimentazione
Fino al 1920 si raggiunge il punto più alto dei cambiamenti alimentari della Repubblica Argentina.
Però, ovviamente, non è una cucina interamente argentina ma, per lo più, una cucina dell’emigrazione, modificata all’uso argentino.
Ciò sorprese moltissimo gli italiani che si recarono in Argentina e si trovarono davanti a loro piatti tipici ma preparati in un modo diverso e con altri ingredienti.
Il “boom della soia”, scatenato dagli alti prezzi internazionali del prodotto per la gigantesca richiesta della Cina, i bassi prezzi del bestiame “in piede”, nonchè del latte, hanno reso possibile un’altro cambiamento del paesaggio agricolo.
Dall’allevamento di bestiame e dalla produzione di latte, i produttori si sono spostati verso le coltivazione di soia. Ciò ha messo talmente in bilico la produzione di carne e di latte da prevedere di dovere importare questi prodotti nel 2010.
Sembra incredibile, ma potrebbe anche darsi, se non cambiaranno radicalmente le politiche nazionali mirate ad aumentare i prezzi e il numero di “madri” e vitelli fino ai livelli storici.

Le nuove speci in estinzione
Tanto per lanciare un leggero sguardo sulle nuove speci in estinzione, voglio dirVi che questi cambiamenti culturali e del paesaggio, hanno pure modificato la biodiversità.
In Argentina, si è scatenata poco fa un’epidemia di “Dengue”, cioè, la malattia portata da un tipo di zanzara egiziana.
Ma perche queste zanzare vivono tra di noi e si molteplicano da diventare una pandemia di cosi grande portata?
E’ vero che la povertà, l’abbandono e la negligenza ufficiale hanno contribuito, ma anche perché pipistrelli, rane e rospi sono quasi scomparsi.
Si sa che un rospo mangia 15000 insetti al mese ed un pipistrello oltre 600 al giorno. Perchè allora restano cosi pochi pipistrelli e rospi? Non ci sono motivazioni univoche al riguardo ma vero è che una volta eravamo abituati a vedere rospi ed altri insetti che divoravano le zanzare.
Ritengo che le disinfestazioni di massa, sia per proteggere le coltivazioni, che contro le zanzare, abbiano avvelenato pipistrelli, rospi e rane, mentre le zanzare sono diventate più resistenti.
E così anche per altre speci di uccelli e serpenti, nei confronti dei topi, che sono sparite, ed hanno reso possibile un pericoloso sbilancio biologico.
Recentemente, in Provincia di San Luis, si è proposto di allevare e ripopolare i dintorni delle città con rospi come risposta alla diffusione e contagio del “dengue”.

Conclusioni
• Come si è detto, molte sono le cause delle migrazioni sociali tra campagna e città e, in verità, sembra improbabile che nei prossimi anni la diaspora cittadina si possa fermare.
• Paradossalmente, è la popolazione che abita in città quella che ha la decisione sul destino del paesaggio circostante, anche quando non conosce bene quale siano le responsabilità.
• C’è la consapevolezza che si può vivere in campagna con le comodità della città, cioè in un quartiere di “chacras” con servizi di depurazione delle acque, banda larga, televisione e telefonia satellitare, protetti da guardia privata e lontano da “gruppi sociali emarginati”.
• Dal momento in cui un terreno, di circa 4000 m2, può costare oltre 130.000 dollari, il settore immobiliare e dell’edilizia spingeranno fortemente per dare continuità a questi progetti con cui sarà possibile avere forti introiti.
• Certo è che la mancanza di politiche di Stato, di protezione del paesaggio e del medio-ambiente, renderà sempre più difficile dire di no ai grossi investimenti economici che perseguono solo il profitto.
• La trasformazione della struttura paesaggistica però, si deve non solo alla crescente occupazione territoriale da urbanizzazioni, ma dall’incremento del confine agricolo associato al monocoltivo della soia.
• Di conseguenza, la frammentazione del paesaggio, la perdita o riduzione di habitat, è la causa principale dell’estinzione di speci negli ultimi tempi.
• Sarebbe perciò ottimo giungere ad un equillibrio tra città e campagna tramite una decentralizzazione industriale combinata con politiche sociali di ridistribuzione delle risorse naturali e della ricchezza economica.
• La carenza per anni, di leggi che proteggano il patrimonio naturale, ha reso possibile che grandi gruppi economici multinazionali, si rechino nel sud dell’Argentina a scopo d’impadronirsi della gestione dell’acqua che, secondo gli esperti, mancherà in molte zone geografiche nei prossimi anni.
• Finalmente, un’altra “spada di Damocle” ci sta sulla testa degli argentini che vedono come si sta allontanando la piattaforma continentale delle Isole Malvinas di 350 miglia intorno all’arcipelago e l’Inghilterra potrebbe persino controllare anche un bel pezzo dell’Antartide.

A questo punto...che faranno gli argentini?
Che sarà dello stupendo paesaggio della Terra del Fuoco, della Patagonia e della partita turistica e agroturistica che potrebbero sostenere e potenziare?
Torneremo a ripopolare la campagna?

ITALIA E ARGENTINA FIRMANO UNA NUOVA COLLABORAZIONE SCIENTIFICA IN AMBITO ANTARTICO
ROMA\ aise\ - Il 29 maggio scorso, presso la sede del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, è stato firmato un accordo cornice tra il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide e la dirección Nacional del Antartico che sancisce la collaborazione tra Italia e Argentina su progetti di ricerca e di collaborazione scientifica. La notizia è stata pubblicata nel portale web "Oriundi" diretto a San Paolo da Vezio Nardini.
A firmare l’accordo, si legge nell’articolo, sono stati il presidente della commissione scientifica nazionale per l´Antartide al MIUR, Carlo Alberto Ricci, e il direttore della dirección nacional del Antartico, Mariano Memolli, in presenza dell’incaricato d´affari dell’ambasciata Argentina, l’ambasciatore Norma Nascimbene de Dumont, del vice presidente dello Scientific Committe for Antarctic Research, Antonio Meloni e di Andrea Lombardinilo del dipartimento Università e Ricerca del MIUR.
Come ha ricordato Ricci nel corso dell’incontro, la collaborazione italo-argentina in ambito antartico dura ormai da più di due decenni, da quando cioè sono iniziate le attività del PNRA in Antartide. "In questi vent’anni", ha precisato il presidente della CSNA, "usando la sismica attiva abbiamo approfondito la nostra conoscenza di queste regioni e in particolare delle strutture crostali. Assieme alla DNA abbiamo avviato, nel campo della sismologia e della fisica dell’atmosfera, progetti comuni in cui la cooperazione è tuttora attiva e produttiva".
Tra le più studiate la regione di Scotia, un’area di circa 900 mila chilometri quadrati nell’Atlantico Sud Occidentale, che si sta rivelando cruciale per comprendere l’evoluzione geologica del continente antartico e l’influenza che ha avuto l’apertura del canale di Drake nel processo di generazione della corrente circumpolare antartica e dell’inizio della glaciazione antartica risalente a 35 milioni di anni fa.
"L’impiego della sismologia ha dato un consistente impulso alle ricerche", ha commentato ancora Ricci. "All’inizio degli anni novanta erano attive in Antartide solo quattro stazioni sismografiche permanenti a larga banda. Nel 1992, l’OGS di Trieste per il PNRA e la DNA argentina, hanno iniziato a potenziare la rete mondiale attraverso sismografi digitali in grado di registrare l’elevata sismicità che caratterizza i margini delle placche tettoniche confinanti con l’Antartide. La prima stazione a larga banda fu quella della base Argentina "Esperanza", che fu in seguito affiancata da altre sei andando a formare la rete ASAIN - Antarctic Seismographic Argentinean Italian Network. L’ultima, in ordine di tempo, è la Base Belgrano II, installata a soli 1300 chilometri dal Polo Sud”.
Il portale web Oriundi rende noto che, a partire dal 2005, l’Argentina rese disponibili in tutte le basi delle linee satellitari che hanno permesso all’OGS di realizzare il collegamento in tempo reale delle stazioni ASAIN con l’Istituto Antartico Argentino, con l’OGS in Italia e con i centri sismologici internazionali Orfeus in Europa e dell’USGS negli Stati Uniti. Ma la collaborazione tra i due Paesi è andata ben oltre, estendendosi a ricerche di fisica e chimica dell’atmosfera nelle regioni polari e circumpolari, e coinvolgendo altri enti di ricerca, come il CNR, i cui ricercatori svolgono un ruolo di primo piano per le misurazioni della Co2, rilevando costantemente, sin dal 1992, le concentrazioni di fondo di questo gas serra.
Nel prossimo futuro, grazie all’accordo recentemente siglato e all’attenzione manifestata dal Dr. Lombardinilo del MIUR verso le ricerche antartiche, sono da prevedere nuove attività che riguardano gli effetti della radiazione UV sugli organismi viventi, incluso l’uomo, la biodiversità, la concentrazione e distribuzione di microcontaminanti, l’evoluzione geologica del sistema Tierra del Fuego nella penisola antartica e la dinamica glaciale.

lunes, 20 de julio de 2009

UN PICCOLO PASSO PER L'UOMO MA UN GRANDE BALZO PER L'UMANITA

Siccome ho sempre creduto, che in ogni evento importante dell’umanità, c’è sempre stato presente un italiano, qualche anno fa mi sono messo ad indagare sulla conquista della luna. Eccolo qui!
Ogni anno viene ricordata la giornata mondiale dell’amicizia, ma forse non molti si ricordano, oppure non lo sanno, che a mandare il primo uomo sulla luna, fu un italiano.
3,2,1...gooo. Erano le 9.32 del 16 luglio 1969 quando, dalla consolle di comando della "fire room" n° 1 di Houston, Rocco Anthony Petrone dette il via alla missione “Apollo 11”.
Accanto a lui c’era Wernher von Braun e, incollati alle televisioni in bianco e nero di tutto il mondo, miliardi di occhi increduli.
21 luglio (in Italia), il Comandante della missione Neil Armstrong, il Pilota del modulo di comando Michael Collins ed il Pilota del modulo lunare Edwin Aldrin Jr., toccarono il suolo lunare. Una storia incredibile, quella di Rocco, raccontata da Renato Cantore nel libro "La tigre e la luna".
Perché la tigre? Ma perché l'italo-americano era soprannominato dai colleghi della Nasa la tigre di Cape Cañaveral.
E per capire il perché, basta scorrere la biografia di un uomo in cui convivevano inflessibile tenacia e una memoria prodigiosa che, racconta chi ci ha lavorato, lo faceva assomigliare a un computer. Quando mio figlio mi domandava perché fossi sempre assente - raccontava Petrone ai pochi cronisti che riuscivano a incontrarlo - io gli parlavo delle grandi conquiste dell'uomo e dello straordinario privilegio che lui e milioni di persone sparse nel mondo avrebbero avuto nell'assistere alla conquista della Luna. Soffrivo, ma non ho mai avuto dubbi. In otto anni di preparazione, dai razzi Saturno ai primi lanci di Apollo, ho accumulato più esperienza tecnologica di quanta una persona normale ne faccia in tutta la vita. E arrivai all'appuntamento sicuro di poter contare su una squadra eccezionale.
La leggenda comincia nel 1926 quando ad Amsterdam (New York) nasce Rocco, il figlio terzogenito di un carabiniere nato a Sasso di Castalda, un paesino in provincia di Potenza (Basilicata), abbandonato per cercare fortuna negli Stati Uniti. Un lavoro nel settore dei trasporti, ma papà morì quando il piccolo aveva appena sei anni. Fu il cugino, docente ad appena trent'anni che aveva conosciuto quanto lui le sofferenze della fame, a intuirne le grandi capacità. Soprattutto per la matematica e lo indirizzò agli studi tecnici. Dopo gli ottimi voti scolastici, Petrone partecipò a un concorso per entrare nella prestigiosa Accademia militare di West Point. Concorso che vinse, nonostante le origini italiane, un grave handicap nel 1943, in piena seconda guerra mondiale. La mamma e gli zii - ricorda Rocco - ci tenevano molto a che la prima generazione americana dei Petrone facesse strada e l'ingresso all'Accademia mi diede una nuova identità, nonostante odiassi il militarismo. Dopo il servizio militare in Germania, Petrone si iscrisse al celeberrimo Mit, il Massachussetts Institute of Tecnology di Boston. Davanti a lui si schiudevano le porte della carriera militare, ma c'era anche la remota possibilità di uscire dalla divisa per entrare nei progetti spaziali. Affascinato dalle tecnologie aeree e dai missili, ma contrario agli impegni militari, Petrone colse al volo l'opportunità e in due anni conseguì la laurea in Ingegneria meccanica per poter far parte del Progetto Redstone e della squadra di Von Braun e Debus, scienziati tedeschi riconvertiti alle scienze aerospaziali.
«Furono anni indimenticabili - ricorda - Eravamo tutti amici e tutti convinti che mai e poi mai un missile avrebbe potuto portare l'uomo sulla Luna, io per primo. Quando arrivammo, nel 1953, Cape Cañaveral era solo una landa desolata con una carovana di zingari e tante zanzare». Divenuto maggiore, Petrone fu assegnato allo Stato Maggiore a Washington, ma a toglierlo dalla naftalina ci pensò il presidente John Kennedy. Quando chiese a Kurt Debus se fosse possibile inviare un americano sulla Luna entro il 1969, questi rispose: Sì, a patto che mi diate un certo Rocco Petrone che adesso si annoia in un ufficio del Pentagono.
La tigre di Cape Cañaveral, di origine lucana, morì a Palos Verdes Estates (California), all'età di 80 anni, il 24 agosto 2006, lasciando la moglie Ruth Holley e quattro figli.

viernes, 17 de julio de 2009

APPELLO AL MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI‏

Al Ministro degli affari esteri On. Franco Frattini Piazzale della Farnesina, 1 R O M A Rafaela (SF), Repubblica Argentina, 17 luglio 2009. 
Egregio Signor Ministro, 
Le scrivo come cittadino impegnato a sostenere le giuste cause degli italiani all'estero per manifestare alla Sua personale attenzione la grande preoccupazione degli italiani all’estero per i recenti provvedimenti di razionalizzazione della rete consolare italiana nel mondo, annunciati il 10 giugno scorso davanti alle Commissioni affari esteri di Camera e Senato, provvedimenti che hanno destato un allarme diffuso tra le comunità emigrate. Nelle ultime settimane vi sono state molteplici prese di posizione da parte dei nostri concittadini all'estero dalle qualii traspare anzitutto un forte sentimento di amarezza per le decisioni assunte dal Governo: i nostri emigrati non comprendono questa ulteriore penalizzazione che li colpirà e che si aggiunge ad altri provvedimenti adottati dal Governo in questo ultimo anno, che ai loro occhi sembrano un “tradimento (ICI, corsi di lingua e cultura italiana, assistenza agli anziani poveri, ecc.). Le chiusure degli uffici consolari non sono certamente una novità e negli ultimi anni i Governi che si sono succeduti hanno proceduto più volte a ridimensionare la presenza della nostra amministrazione all’estero, per cui è stato ora raggiunto un limite che non può essere “sfondato” senza creare disservizi, ritardi e inefficienze che si ribaltano sui cittadini. Si deve considerare che sono aumentati notevolmente i compiti “nuovi” dei consolati, riconducibili per altro a due ben noti fattori: la partecipazione dei connazionali emigrati alla vita politica della nostra nazione e le sfide poste dalla globalizzazione, sfide che un Paese come il nostro - fortemente votato alle esportazioni dei propri prodotti e legato nello stesso tempo alle potenzialità offerte dal turismo - deve affrontare con il forte impegno delle rappresentanze dello Stato all’estero e il costruttivo coinvolgimento della rete di presenze italiane nel mondo. I nostri concittadini e e le comunità all'estero sono tutte in agitazione Le associazioni degli italiani nel mondo registrano quotidianamente imessaggi di richiesta di intervento presso le istituzioni ,in occasione delle manifestazioni di protesta svoltesi in Germania - ad Amburgo, Mannheim, Norimberga, e Saarbruecken - mentre altre manifestazioni sono in preparazione per dare voce alla protesta e rappresentare le criticità e lo scontento che si è diffuso nelle comunità dopo le decisioni adottate dal Governo. Il rischio percepito è quello di un progressivo smantellamento dei servizi minimi necessari all’ordinario e quotidiano supporto alle comunità di connazionali residenti all’estero. Servizi garantiti fin dalle prime generazioni di emigrati, che oggi, alla terza e quarta generazione, si vedono tagliati fuori quando vorrebbero invece “essere parte” di questo processo di ripensamento. Non solo,noi ci sentiamo in dovere di sottolineare come la chiusura dell’elevato numero di rappresentanze consolari previsto dalla manovra costituirebbe un duro colpo per gli interessi strategici italiani nel mondo. A rischio è anche la presenza e la proiezione integrata delle comunità italiane e italofone nelle realtà locali. Per queste ragioni Signor ministro Le chiediamo di fermare la manovra di chiusura degli uffici consolari e avviare una riflessione sulle esigenze concrete della rete, per arrivare a soluzioni condivise e giuste per i connazionali che si trovano all’estero. Prof. Arch. Jorge Alberto Garrappa Redattore Argentina-Uruguai Portale Giornalistico Lombardi nel Mondo

viernes, 10 de julio de 2009

ADOQUINADO: SI o NO?

ANTECEDENTES HISTORICOS
Se inicia prácticamente con nuestra civilización. Cuando se construyeron las Vías Romanas, se emplearon bloques de piedra –tallados especialmente- para obtener una superficie lisa de rodamiento.
La duración de estas vías, muchas de las cuales todavía se pueden visitar, es el mejor testimonio de la calidad de ejecución de dichos trabajos y de la factibilidad del sistema constructivo de los llamados pavimentos segmentados.
Posteriormente aparecieron superficies para el rodamiento de vehículos, constituidas por adoquines de granito, ejecutadas durante muchos años en diversos países de Europa y luego, en América, incluyendo nuestro país.
Una variante mas moderna de estas superficies, son los pavimentos de bloques intertrabados de hormigón que, la norma IRAM define como capa de rodamiento conformada por elementos uniformes macizos de hormigón de alta resistencia denominados “bloques”, que se colocan en yuxtaposición adosados y que debido al contacto lateral permiten una transferencia de cargas por fricción desde el elemento que la recibe hacia todos sus adyacentes, trabajando solidariamente y con posibilidad de desmontaje individual.
En la actualidad, el empleo de estos pavimentos, de los que las aplicaciones urbanas constituyen una de las mas importantes, ya que dan a los arquitectos y urbanistas la posibilidad de diseñar pavimentos muy atractivos, esta experimentando un fuerte impulso, lo que es fácil de explicar si se consideran las ventajas que presentan como ser:
• Posibilidad de sacarlos y colocarlos nuevamente en forma simple y económica cuando se requiera instalar o reparar cualquier conexión subterránea, y corregir desnivelaciones superficiales sin perdidas de materiales y sin dejar señales en el pavimento.
• Posibilidad de reutilizar los bloques lo que representa un valor residual elevado.
• Productos premoldeados elaborados en plantas industriales con un control cuidadoso en la calidad del material y dimensiones del bloque.
• Habilitación al tránsito inmediatamente después de su colocación.
• Durabilidad, buena adherencia, elevada resistencia al desgaste y excelentes cualidades reflectantes de la luz.
• Diseñado y construido apropiadamente es capaz de soportar cargas muy altas, como las existentes en puertos, aeropuertos y patios de instalaciones industriales.
Los pavimentos de adoquines también tienen ciertas limitaciones como:
• Debido a la rugosidad superficial que presentan no es recomendable su utilización en calles con velocidades de circulación superiores a 60/65 Km./h.
• Esta limitación se convierte en ventaja para calles residenciales de baja intensidad de tránsito y poca densidad de semáforos.
• A velocidades mayores el conductor percibe molestas vibraciones que lo obligan a disminuir la marcha.
EL ADOQUINADO DE LAS CALLES DE CUBA(Tomado de "Camagüey, de la leyenda y la historia", Oficina del Historiador de la Ciudad)
De menor antigüedad que los tinajones, los adoquines que pavimentan nuestras principales calles constituyen otro toque distintivo de la ciudad.
Hacia la primera mitad del siglo XIX, las polvorientas calles y plazas de las zonas céntricas de Puerto Príncipe fueron pavimentadas con ladrillos o piedras (empedradas, al decir de la época).
Al correr de los años, las obras del acueducto, el alcantarillado y el tendido de la línea del tranvía en las principales arterias urbanas terminaron por deteriorar aquel pavimento original, que en algunos lugares no debió diferir del que aún se observa en Trinidad.
El 3 de julio de 1921 se inició la renovación del pavimento de las más importantes calles de la ciudad. El adoquinado hizo su aparición en Camagüey.
Los adoquines de granito fueron comprados en Noruega, al precio de dieciocho centavos de dólar la unidad.
Manos hábiles los dispusieron. Adaptaron su geometría al caprichoso trazado urbano de nuestra ciudad, tejiendo una urdimbre de hermosas figuras que aún hoy pisan los pies de nativos y visitantes.
LOS ADOQUINES DE VALPARAÍSO(Internet)
Hasta los adoquines que todavía vemos en las calles de Valparaíso tienen su historia que contar, aunque hay calles que han asfaltado y han matado la ilusión del adoquín que tenía la huella de otros tiempos.
Muchos de esos adoquines fueron traídos como lastre en los barcos desde Noruega. Hay algunos muy bellos en algunos patios de casas del Cerro Alegre, como en la calle Montealegre donde había un antiguo colegio de señoritas de Monjas Inglesas, en la esquina de Lautaro Rosas.
Allí estudiaban las jóvenes inglesas que vivían en régimen interno. Este colegio fue comprado por el ingeniero alemán Andreas Schissler, quien lo transformó en un edificio precioso, con departamentos modernos, pero manteniendo el estilo antiguo.
Y él encontró que debajo del cemento de la entraba estaban los adoquines. Los retiró y los dispuso siguiendo un diseño de un patio pompeyano.
El resultado es de gran belleza y atractivo. Vemos así una casa remodelada con carácter estético que mantiene los elementos del pasado.
EL ADOQUINADO DE RAFAELA
Transitar sobre los adoquines que tapizan muchas de nuestras calles, es hacer todos los días un viaje al pasado.
Ellos son hoy, mudos testigos de miles de anécdotas y acontecimientos ciudadanos que construyen la historia local.
Retroceder en el tiempo hasta 1927, cuando las polvorientas calles comenzaban a poblarse de adoquines es volver a vivir el esfuerzo de cientos de hombres que trabajaron de sol a sol, en su colocación.
Pero es también rescatar la visión progresista de un pueblo que, nacido al calor de la expansión agropecuaria de fines del siglo XIX, había multiplicado sus actividades económicas y se había transformado en una de las ciudades más importantes del país, donde las comunicaciones, con los grandes centros consumidores y los puertos, eran un factor clave para ello.
En este marco histórico, el empedrado jugó un papel singular puesto que fue eliminando poco a poco las calles de tierra, evitando no sólo inconvenientes durante los días de lluvia sino además consolidando la imagen de ciudad moderna que tanto impactaba a quienes nos visitaban por aquel entonces.
Pero el adoquinado no fue para Rafaela sólo una cuestión de imagen y confort sino que significó para sus habitantes cristalizar aquellos ideales y valores que reconocían como la base de su crecimiento como comunidad: el trabajo, el esfuerzo y la firmeza puestos en las empresas, que significaban una real mejora para la calidad de vida de todos.
Por todo esto los adoquines son hoy una parte indisoluble de nuestro patrimonio cultural, y como tal su rescate posibilita el reencuentro del hombre con su historia personal y colectiva, el acercamiento a sus raíces, la posibilidad de recordar, recrear y de conmoverse con lo que le resulta familiar o cercano; en suma, construir su identidad como rafaelino.
Aspectos Generales
Bajo la denominación genérica de “cubetti” (en italiano) o “adoquines”, se encuentran estas piezas de pavimentación de forma cubica, ligeramente irregular, obtenidos por rotura mecánica y cuyas medidas varían según su clasificación por tipo.
Su clasificación depende, ante todo, del espesor de la laja de la cual se obtiene. Si luego de la operación de rotura mecánica, la pieza presenta aun algunas imperfecciones es terminada a mano por un operario con el auxilio de una “martellina”.
Estos “cubitos” pueden ser obtenidos de distintos tipos de piedra: pórfidos, granitos, etc.
Mientras los pórfidos, generalmente tienen una apariencia rosácea, por la presencia de óxidos, los granitos son de una coloración grisácea bastante mas uniforme.
Clasificación
a)Tipo 4/6: cada elemento tiene la altura y espesor variables entre 4 y 6 cm y la medida de la cabeza está comprendida entre un minino de 4 cm y un máximo de 7 cm. Su peso por m2, medido en obra, es de aproximadamente 100 Kg.
b)Tipo 6/8: altura y espesor variables entre 6 y 8 cm y la medida de la cabeza está comprendida entre un mínimo de 6 cm y un máximo de 9 cm. Su peso por m2 esta comprendido entre 130 y 140 Kg.
c)Tipo 8/10: altura y espesor variables entre 8 y 10 cm y la medida de la cabeza está comprendida entre un mínimo de 8 cm y un máximo de 12 cm. Su peso por m2 esta comprendido entre 180 y 200 Kg.
d)Tipo 10/12: altura y espesor variables entre 10 y 13 cm y la medida de la cabeza está comprendida entre un mínimo de 10 cm y un máximo de 14 cm. Su peso por m2 esta comprendido entre 220 y 250 Kg.
e)Tipo 12/14: altura y espesor variables entre 12 y 15 cm y la medida de la cabeza está comprendida entre un mínimo de 12 cm y un máximo de 15 cm. Su peso por m2 esta comprendido entre 250 y 300 Kg.
f)Tipo 14/18: altura y espesor variables entre 14 y 19 cm y la medida de la cabeza está comprendida entre un mínimo de 14 cm y un máximo de 18 cm. Su peso por m2 esta comprendido entre 300 y 350 Kg.
Tolerancias Dimensionales
Las tolerancias, que definen el tipo, son necesarias por dos motivos:
1.La puesta en “arcos contrastantes” exige una deformación tal, que para formar el característico arco, se requieren “cubitos” más grandes en el centro o clave del arco y más pequeños en los arranques del mismo.
2.Las tolerancias dimensionales también permiten operar con costos de producción mucho más ajustados.
Aspectos proyectuales generales
Cuando un proyectista decide una pavimentación con estas piezas debe tener en cuenta:
1.La geometría del espacio a pavimentar
2.El diseño de puesta de los elementos
• “arcos contrastantes” o “puesta normal”, sistema mas difundido en el mundo.
• “filas paralelas”
• “cola de pavo” o “abanico”
• “círculos concéntricos”.
3.El aspecto cromático del pavimento
Es grande la importancia del color superficial, pues cuando menor es la dimensión de los elementos, mayor será la “dilución” del aporte cromático de cada uno en particular. Es previsible que el color de los adoquines, sometidos a trafico, tendera inevitablemente a oscurecerse.
4.Los tipos de elementos
La elección depende de factores estéticos y estáticos. El uso o destino de la pavimentación es determinante del tipo a utilizar.
a) El tipo 4/6 encuentra su aplicación óptima en superficies sin trafico vehicular, como veredas, zonas peatonales, patios y jardines.
b) Para cualquier empleo, sea peatonal como de transito bajo o medio, se aconseja utilizar el tipo 6/8.
c) En superficies amplias y calles de transito muy intenso se prefiere el Tipo 8/10.
d) Los tipos más grandes son menos utilizados y se los puede observar en zonas de estaciones ferroviarias y puertos.
Origen del empedrado de Rafaela
Es ampliamente conocido que, los buques mercantes de ultramar, cruzaban el Atlántico en busca de las carnes y los granos argentinos, debiendo necesariamente navegar con carga de lastre.
El lastre lo constituía, algunas veces el “balasto”, para tendidos ferroviarios, otras los adoquines, para pavimentos de distintos tipos, chapas onduladas de zinc o bien, la fantástica tiranteria de “Pino Tea”, tan difundida en la construcción en general.
Estos materiales eran transportados, a bajo costo, por las compañías interesadas en la compra de las materias primas argentinas.
Nuestros adoquines, de origen noruego, llegaron al Puerto de Santa Fe a bordo del buque -de esa nacionalidad- “Christianborg”, el 27 de agosto de 1927.
Primer obra de pavimentación
El 5 de Noviembre de 1926, el Concejo Municipal presidido por Juan Martegani, sanciono la Ordenanza N° 305, autorizando al Departamento Ejecutivo Municipal, a cargo del Intendente Octavio Zobboli, a pavimentar con granitullo y cordones de granito las primeras 136 calles de nuestra ciudad.
El Municipio comienza de esta manera, a resolver el problema de transitabilidad de las calles de una ciudad en franco crecimiento que se perfila para asumir el liderazgo de la Región.
Estas primeras 136 calles, parte de un plan global de pavimentación de toda el área urbana consolidada de la ciudad, era el mayor anhelo de cualquier administración municipal.
La segunda etapa elevo el radio pavimentado a 227 cuadras y la pavimentación con piedras habría continuado de no haberse producido un creciente avance en el plano científico - tecnológico e industrial en todo el mundo y la aparición del hormigón armado.
Según la Ordenanza 305, en nuestra ciudad se emplearían dos clases de piezas de cobertura:
• Granitullo en bulevares, avenidas y en torno a la Plaza.
• Granito especial en calles secundarias.
Las dimensiones de cada tipo de piezas de pavimentación serian las siguientes:
• Granitullo 9x9x9 Tolerancia de +- 1cm por cara.
• Granito especial 20x12x13 Tolerancia de +- 1 a 2 cm promedio.
No obstante estas especificaciones técnicas y por alguna causa se modifico esta decisión empleándose Granitullo tipo 8/10.
Por otra parte, el Pliego de Especificaciones Técnicas, establecía clara y taxativamente el uso de “mastic asfáltico” para las juntas, el que debía ser “preparado a base de asfalto natural o betún artificial, con exclusión absoluta de alquitrán, brea o productos derivados, con el 60 % de arena gruesa”.
El tomado de juntas, con materiales absolutamente excluidos del pliego técnico original, tales como la brea, constituyo una causa agravante del progresivo ulterior deterioro de las calles.
Actualmente se emple junta cementicia semilíquida obtenida de la mezcla en partes iguales de arena, agua y cemento.
Se experimenta, en Europa, con juntas de empastes poliméricos, asfalto en polvo y otros productos que aun no han verificado su “performance” o rendimiento en pleno servicio.
El Diseño de puesta en “Arcos Contrastantes” fue adoptado, probablemente como se dijo, por ser conocida y considerada como puesta “normal” y frecuentemente utilizada en Europa por aquellos días.
Esquema de montaje
Contempla, en general, la construcción de tres arcos centrales y dos semiarcos laterales que rematan en los cordones laterales de granito especial en calles con distintos anchos de calzada, a saber:
• Calles A. Álvarez y Buenos Aires entre Lavalle y Alvear y Ciudad de Esperanza entre san Martín y Sarmiento: 7 m. de ancho.
• Av. Italia y Bvs. Lehmann, Roca, Irigoyen y Santa Fe hasta la Jefatura: 8 m de ancho de calzada.
• Roque Saenz Peña: 8,50 m de ancho.
• Calles secundarias: 9 m de ancho.
• Calles perimetrales de la Plaza 25 de Mayo: 9,50 m de ancho cada calzada.
• Av. Mitre: 11,00 m de ancho.
• Av. Santa Fe: 15,30 m de ancho.
Particularidades técnicas del Diseño
En Bulevar Santa Fe, por ejemplo, los arcos se construyeron de la siguiente manera:
• Sobre la calzada Sur, donde se circula actualmente en sentido Oeste - Este (de Plaza 25 de Mayo a Jefatura), los arcos echados poseen su clave orientada hacia el este.
• Sobre la mano Norte, donde se circula en sentido inverso Este - Oeste (Jefatura hacia la Plaza), los arcos están armados a la inversa.
• En torno a la plaza el criterio se mantiene en cada mano un sentido de la puesta del adoquinado.
• En Bulevar Lehmann, en cambio, en ambas manos la puesta ha sido realizada en el mismo sentido. Al respecto cabria recordar que fue la primera calle empedrada y donde se cometieron algunos errores técnicos (como la ausencia de suficiente galibo), luego subsanados en otras arterias.
• En calles secundarias la puesta se hizo en un solo sentido, a un lado y otro de los bulevares, debido seguramente al menor transito que recibirían.
El análisis de la puesta nos aporta nuevos datos sobre lo que podríamos definir como la primera causa del deterioro sufrido por el adoquinado a lo largo de su vida.
Causas del deterioro
a)Inversión del sentido de circulación vehicular
En general, un Arco es una pieza estructural que “trabaja” a compresión, es decir, esta diseñado para recibir la presión o carga sobre su clave (parte alta central) y transmitir los esfuerzos, a los arranques (a cada lado de la parte inferior).
Estos arcos echados, superpuestos y consecutivos, fueron armados para resistir lógicamente la compresión y complementariamente la carga lateral, transmitida por vehículos en frenada brusca, sobre las claves de los arcos echados y transmitirla a los arranques de los mismos, lo que evitaría su eventual deformación.
En los años 1926 y 1927, cuando fueron empedradas las calles de la ciudad, que por entonces contaba con 16.000 habitantes, el desplazamiento de los automotores se realizaba “a la inglesa”, es decir avanzando por la mano izquierda y, por ende, “a contrapelo” de los arcos, permitiendo que estos trabajasen correctamente y resistiesen los desplazamientos y las cargas laterales de frenado.
En 1944, al cambiar por la modalidad de circulación “a la americana”, los pavimentos de piedra de Rafaela -hoy con casi 100.000 habitantes- quedaron invertidos al sentido del transito y por tanto trabajando en condiciones desfavorables particularmente en bulevares, avenidas y algunas calles secundarias de alto transito.
b) Obras de infraestructura
Otra causa del deterioro es aquella producida como consecuencia del tendido de obras de infraestructura ejecutadas por Empresas Publicas y Privadas de provisión de Servicios Públicos tales como Agua, Cloacas, Gas Natural, Energía Eléctrica, etc.
Estos entes suelen abrir “ventanas” y “zanjas” que comprometen seriamente el paquete estructural completo del pavimento (suelo compactado, contrapiso, cama de arena y adoquines) y su posterior reconstrucción ha sido, en general, técnicamente incorrecta.
La deficiente compactación del suelo base, la ausencia de anclaje entre contrapisos viejo-nuevo, el desconocimiento de la técnica de puesta de adoquines por parte del personal de estas empresas y el deficiente empleo de juntas trajeron como consecuencia hundimientos, figuración, infiltración de aguas pluviales a través del contrapiso, ablandamiento del suelo y la inevitable ondulación superficial.
c)Políticas de mantenimiento
Asimismo debemos mencionar la ausencia –por años- de políticas oficiales de mantenimiento, acordes a los nuevos requerimientos del transito.
Parece haber coincidencia entre la aparición de los pavimentos de hormigón armado y, posteriormente, de concreto asfaltico, con la paulatina interrupción del mantenimiento del adoquinado.
Al mantenimiento de juntas, bacheo y fiscalización técnica de reconstrucción de pavimentos, deberíamos sumar la falta de políticas de protección y preservación de los pavimentos, especialmente, restringiendo el transito pesado.
d)Transito pesado
Al respecto podemos agregar que la ubicación de la Estación de Ómnibus –recientemente trasladada- trajo como consecuencia la virtual “destrucción” de varias calles céntricas.
Asimismo, la permisividad de ingreso de equipos pesados para aprovisionamiento –por ausencia de estaciones de transferencia de cargas- en zona céntrica colaboraron muchísimo al deterioro de las calles.
Todo esto, sumado a los trastornos ocasionados a los usuarios han generado una evidente animosidad en la población.
No obstante, de las encuestas realizadas oportunamente, surge que la mayoría de la población quiere calles por donde se pueda transitar normalmente, sin riesgos para las personas y sus vehículos.
Alternativas de solución
Comunmente se lanzan dos vías de solución al problema:
a)Restauración sistemática y programada del empedrado existente
b)“Sobre pavimentación” con concreto asfaltico.
Pero una elección de este tipo, deberia contemplar todos los factores de incidencia para la toma de la decisión más beneficiosa y economica. A saber:
a)Valor patrimonial de este bien histórico
Que da un rasgo distintivo a la ciudad y demarca claramente la “frontera urbana” entre la “ciudad antigua” y la “ciudad moderna”.
b)Determinación del volumen de obra
Que implica establecer la cantidad de cuadras a rehacer y el porcentaje de trabajos que se requieren.
c)Costo de las alternativas técnicas
Determinar los costos comparativos de cada tipo de pavimento.
d)Financiación de la inversión
Estableciendo quien y como se paga la obra que se elija realizar.
e)Vida útil proyectada de las alternativas
Al respecto vale la pena conocer la vida útil de cada tipo de pavimento:
• Pavimento de Granitullo: supero los 80 años.
• Pavimento de Hormigón: entre 30 y 40 años.
• Pavimento de Concreto Asfaltico: entre 7 y 10 años.
En última síntesis podemos decir que de la acertada valoración de estos multiples factores debe salir la solución optima sin perder de vista que, -el adoquinado- es la “facción” característica que define el rostro y la personalidad de Rafaela.
LA CONVENIENCIA DE REPARAR EL ADOQUINADO DE LA CIUDAD
Es a dos puntas, pues por un lado logramos la conservación del patrimonio histórico de la ciudad, pero además también está la ventaja económica para los frentistas, ya que esta opción no sólo es la más barata, sino que cuenta con el aporte del Fondo especial que pagan todos los contribuyentes y que se vuelca a la reparación del adoquinado.
Desde que hace unos años se resolvió comenzar con la tarea de reparación del adoquinado de las calles de nuestra ciudad, que no habían tenido prácticamente ninguna clase de mantenimiento durante más de 70 años, del total de 222 cuadras empedradas que existen en la zona céntrica, se llevan re adoquinadas -tal el término que se utiliza para identificar estos trabajos, ya que aun cuando se recupera parte del material como los adoquines, prácticamente todo queda "a nuevo"- unas 45 cuadras.
Para tomar esta determinación sobre la reparación de las calles adoquinadas, se tuvieron en cuenta una serie de aspectos, como ser en ese tiempo la disponibilidad de mano de obra de los jefes y jefas de hogar desocupados, a quienes había que asignarles una tarea -algo que en Rafaela, al contrario de lo sucedido en la mayoría de otros lugares, se cumplió en muy alto porcentaje-, pero además y sobresaliendo en trascendencia, el hecho que se estaba cumpliendo con una de las pautas de conservación del patrimonio urbano, ya que justamente los adoquines en las calles constituyen una presencia física que refleja parte de la historia misma de la ciudad.
Cuando algunas arterias quedaron reparadas y en condiciones de circulación, en realidad llamaron la atención de todos, no sólo de quienes aparecen en favor de la mantención del empedrado, sino también de aquellos que prefieren la repavimentación. La avenida Mitre fue uno de los casos más notorios, ya que se encontraba en un estado de deterioro sumamente avanzado, ya que por allí, además del exceso de su vida útil -estimada en 40 años- pasan vehículos de porte bastante importante, siendo una de las vías de comunicación más utilizadas para conectarse con todo el sector este de la planta urbana.
Hoy, al igual que antes -cuando comenzó la reparación- se vuelve a reflotar la polémica respecto a qué sistema es el más conveniente para implementar, siendo analizadas ventajas y desventajas de cada una de las tres alternativas: reparación del adoquinado, pavimentación sobre el mismo, o bien su retiro y construcción de hormigonado.
Este Diario, desde siempre estuvo en favor de llevar adelante la tarea de re adoquinado, es decir, la reparación completa de las 222 cuadras que tiene la ciudad en su zona céntrica, por una razón muy especial: los adoquines son parte de nuestra historia, de cómo se fue haciendo la ciudad, son también una muestra de trabajo y esfuerzo, esa combinación tan notable de elementos que constituyeron la base sobre la cual Rafaela fue haciéndose grande.
Pero además de su valor como patrimonio histórico, porque en buen estado -y de eso tenemos pruebas con los sectores ya reparados- prestan una utilidad que no observa diferencias con los otros dos sistemas, con la ventaja de tener una vida útil mayor; 40 años, contra 30 años del hormigonado y 10 años del pavimento.
A todo esto debe añadirse la cuestión de los costos, donde también el adoquinado saca una importante ventaja sobre las otras dos alternativas, siendo de 90.000 pesos por cuadra, contra 95.000 la repavimentación, y 105.000 el hormigonado. Si bien las diferencias pueden aparecer a primera vista no tan grandes, debe tenerse en cuenta un aspecto que no ha sido mencionado hasta ahora en esta clase de análisis, como lo es la existencia del Fondo Especial destinado al re adoquinado, consistente en el pago de 2 pesos por cada contribuyente, el cual fue agregado a la tasa general de inmuebles.
Con ese Fondo se deberían reunir unos 60.000 pesos mensuales, que se reducen a 45.000 pues el cumplimiento -como en todos los tributos- se encuentra en el orden del 75 por ciento. Consecuentemente, como ese Fondo continuará existiendo, con direccionamiento exclusivo a la reparación del empedrado, reducirá los costos de manera importante de optarse por esta metodología, según sea el avance que tengan los trabajos.
Justamente, uno de los aspectos que también entra dentro del cuestionamiento, es la lentitud que tiene el arreglo del empedrado con relación a los otros dos sistemas, de manera especial la repavimentación. Aunque nunca llegaría a equipararse el tiempo de avance, existe la intención, en caso de aprobarse y obtener mayor financiación, darle más celeridad al re adoquinado, con lo cual podría llegar a salvarse en parte una de las objeciones que se plantean.
Así las cosas, se avecina la discusión por las 177 cuadras de adoquines que aún restan reparar en la ciudad. (Diario “La Opinión” – 2007)

ARGENTINA vs ARGENTINA

In quest'ultimo mese ho pensato parecchio a scrivere qualche articolo sulla sanità in Argentina. Poi mi sono detto di no. Perche forse non sarei ben capito e accusato -ancora una volta- di soggettivo ed oppositore.
Invece, mia compagna di squadra giornalistica (www.lombardinelmondo.org), Patrizia Marcheselli, ha dipinto con chiarezza e oggettività la irresponsabilità imperante nella dura realtà argentina di oggi.


Le nuove frontiere si stringono febbricianti in una sola definizione: sanità. L’Argentina, purtroppo, per chi ci vive e la ama, è un Paese che trascura, sorda. Preferisce aspettare, il day after, delle elezioni per prendere, diciamo, le precauzioni e rivelare certi dati (prima delle elezioni i morti erano 20, dopo le elezioni i morti arrivano a 40) antipanico naturalmente, sulla situazione, per esempio, dell’influenza A -R1/H1. Abbiamo anche il denghe, dice lei?
Ma tanto per il denghe manca ancora qualche mese.

Tutto dopo le elezioni. Le dimissioni del Ministro della Salute, le cifre dei morti, le cifre dei contagiati, le incertezze, le poche e irrisorie misure di sicurezza, gli interessi economici che scavalcano qualsiasi decenza e le diverse posizioni prese sulla pelle altrui.

Facciamo o no la partita di calcio domenica? A porte chiuse? Meglio di no, perchè sa, con pubblico è più bello, è il derby! Chiudiamo o no le scuole? Si? No? Oggi no, meglio lunedì. Però lasciamo aperti i centri commerciali, i cinema, le sale giochi e i teatri, anticipiamo le vacanze invernali e che ogniuno si gratti con le unghie che ha, si lavi le mani prima cantando Buon Compleanno a te, due volte, e tutti contenti.

Farmacie senza medicine? No, no, sono solo prese da assalto e sono rimaste sprovviste, ecco,(tra una settimana riappariranno magicamente: le mascherine, i disinfettanti in gel, gli antipiretici, gli antibiotici e, se prima non avevano comunque un prezzo accessibile, il tutto raddoppia).

Si sono triplicati gli spot pubblicitari, i programmi con gli esperti e le formule del vendere “sano”. Nessuno guarda in faccia a nessuno.

Gli spot pubblicitari, ti educano:
<< Se hai il raffreddore, la tosse, dolori articolari, mal di testa e vomito... non rimanere chiuso in casa, prenditi questo oppure quest’altro e potrai uscire a divertirti come un matto ! >>.

La sanità non è politica, dice qualcuno timidamente e sottovoce, non si sa mai qualcuno ascolti. Se è di destra o sinistra? Non importa, non dimentichi che siamo nel day after e ci sono cose più importanti da dire.

Intanto gli ospedali pubblici e privati esplodono ed implodono: saturati e contagiosi.
La gente che vive nelle periferie abbandonate di Buenos Aires, non ha soldi per comprarsi il pane o un litro di latte, spesso non ha neppure la mutua, una medicina che sfiora i 30 pesos, non esiste.

Medico a domicilio?
Quando chiami ti danno un tempo di attesa che va dalle 48 alle 72 ore, certo se sei un bimbo o un anziano forse arrivano prima. Se vivi in una zona a rischio, cade la linea...

Ma dai, non esagerate! Non esageri, è un raffreddore comune signora, è la stagione. Un buon bagno caldo, una tazza di brodo e una aspirina..

Quindi le misure prese dal Messico, nonostante la lentezza della notizia, non sono state così esagerate come dicevano.

Come per il denghe, meglio i consigli che le misure sociali e gli interventi nelle zone più povere.

Comprati lo spray antizanzare, a meno di 25 o 30 pesos non trovi niente di effettivo. Se vivi nel fango, se vivi in una villa, se vivi vicino al Riachuelo (fiume/melma il più contaminato del paese, dove sulle sue sponde vivono un numero imprecisato e stratosferico di famiglie con bambini che vivono in condizioni inumane), si compri una bella zanzariera e ci avvolge i bambini o vada in vacanza in montagna, l’aria pulita fa bene alle allergie e ai tumori provocati dal piombo, dal cromo, dalle scariche illegali delle industrie e dai rifiuti che generosamente regala la Capitale o si cerchi un’altra casa e vada a lavorare, per favore).

Facciamo domani, dunque, quello che avremmo potuto fare un mese fa, tanto, chi se ne accorge. Pane , circo e teatro.
Mi vien da piangere...

Patrizia Marcheselli
Portale dei Lombardi nel Mondo

miércoles, 10 de junio de 2009

UN PUENTE...NO DEMASIADO LEJOS

En 1977, vi un film intitulado “Un puente demasiado lejos” (A bridge too far). En el, mas de diez primeras figuras del cine de Holywood como Sean Connery, Gene Hackman, Robert Redford, Maximilian Schell, James Caan, Anthony Hopkins, Liv Ullmann, Laurence Olivier, Michael Caine y Hardy Kruger entre otros,interpretaban a oficiales aliados y alemanes que participaron en esa operación, realizada durante la Segunda Guerra Mundial, por tomar el control del puente de Arnheim, sobre el Mosa, en Holanda.
Los buenos del film, finalmente lograban tomar el puente, pero a costa de gran cantidad de bajas y por solo 4 dias.
A pocos kilómetros del centro de Rafaela, sobre el antiguo “camino central” que une esta ciudad con la localidad de Lehmann, existe el puente carretero más antiguo de la zona.
Dicho puente pasa sobre el arroyo Las Calaveras que cruza de oeste a este el Departamento Castellanos en busca del Rio Salado.
Transitando hacia el norte, sobre el eje fundacional o “Cardo” romano, se pasa frente al autódromo y siguiendo, ya por tierra, se llega a la encrucijada de Fronterita donde se encuentra un pequeño caserío, la capilla Nuestra Señora del Rosario de Pompeya -construida en 1941- y la escuela.
Girando hacia el este e inmediatamente hacia el norte, se continúa por un camino bordeado por tupidos ligustros que superan los 6 metros de altura.
A unos 5 kilómetros del “martillo” de Fronterita –ya en jurisdicción de Lehmann- se llega al puente de vigas metálicas de celosia, cuya planchada de rodamiento -originalmente de madera- esta ahora cubierta por una espesa capa de suelo que modificó en parte su apariencia original.
No obstante ello, bajando por el costado este de la cabecera sur, se puede ver la capa de “durmientes” que servía de carril vehicular, ahora cubierto por una gruesa capa de tierra arcillosa.
Evidentemente se trata de un puente ferroviario adaptado al transito carretero de fines del siglo XIX.
Al cubrirlo con mejorado, probablemente se busco la solución más económica para resolver el problema de eventuales inundaciones pero, ciertamente, no la mas recomendable.
Tal vez por ignorancia, estamos habituados a abandonar o destruir nuestro patrimonio cultural e histórico que, en algunos casos, son únicos en el mundo como sucede con la bóveda de la Iglesia y la Capilla Domestica de la Compañía de Jesús de Córdoba.
Nuestro puente, sobre este camino secundario, luce orgulloso su placa identificatoria, de fundición de hierro, roblonada sobre la parte baja de una viga lateral.
En ella se puede leer claramente: PATENT SHAFT & AXLETREE Co. Ld. – 1887 – ENGINEERS WEDNESBURY, lo que revela que fue fabricado por esa empresa británica y montado en esa fecha por quienes realizaban el tendido de los incipientes ramales ferroviarios argentinos.
La Patent Shaft and Axletree Co Ltd, comúnmente conocida como la “Patent Shaft”, fue formada en 1840 por Charles Geach y James Hardy, en Wednesbury (Staffordshire) Inglaterra.
Los orígenes de esta compañía se remontan a 1830 y en 1959, The Patent Shaft and Axletree Company Est fue transformada en The Patent Shaft Steel Works Limited.
La compañía cerró en 1980 y se demolieron sus fábricas. Hoy nuevas unidades industriales han sido construidas en ese sitio y el camino Black Country Spine cruza la parte norte del lugar.
En 1885 la compañía construyo el primer Puente de acero del mundo en Benares, sobre el Rio Ganges, en el cual se emplearon 6500 toneladas de acero y, en 1900, construyo otros 7 puentes en Natal en menos de 2 meses.
Muchos puentes fueron construidos para las compañías ferroviarias británicas que trabajaban en el Reino Unido y en otros países como Egipto, India, Japón, Sudáfrica y Sudamérica.
No demasiado lejos de Rafaela existe uno de ellos. Cuanto darían otros por tenerlo restaurado para que vecinos y turistas vengan a verlo desde todas partes

viernes, 29 de mayo de 2009

"L’ALTRA ITALIA MINACCIATA"

Cosi intitola Giovanni Petrella Battista questo suo appello, dal Venezuela, al Governo italiano.
Con una valigetta di cartone allacciata con un fil di spago e con un fardello di valori umani e l’anima colma di speranze, molti italiani, specialmente del Mezzogiorno, sono partiti per il mondo e alcuni di loro sono arrivati in Venezuela, che già Cristoforo Colombo definì allora "Terra di grazia".
Noi apparteniamo ad un popolo obbediente alle leggi e rispettoso dello Stato Sovrano, in ogni nazione; appunto per questo chiediamo alle autorità statali lo stesso rispetto per noi e per i nostri discendenti.
Perciò, dopo molti decenni trascorsi a lavorare con la famiglia sempre a carico, dopo sforzi fisici ed economici, lacrime e sacrifici, moltissimi italiani oggi ci stanno rimettendo non solo economicamente, ma anche socialmente e politicamente, come qualsiasi altro cittadino del Venezuela.
Già da tempo, tutta la "grazia" del Venezuela quasi non esiste più. Nonostante alcune cose che il governo sta facendo bene -come nelle arti e nella cultura– nel Paese stanno affondando le radici "industrie distruttive", seminando elevati livelli di paura: l’industria del sequestro –che colpisce molti italiani– che ha per protagonisti malviventi (appoggiati); e l’industria dell’esproprio a quasi tutti italiani -sequestro di quasi tutto e di tutti, legalizzato– di cui è protagonista il governo nazionale.
Davanti a questa pericolante situazione ci domandiamo: "ma che fa il governo italiano? Perché se ne sta zitto zitto? Potrebbe anche emulare il Presidente della Spagna: quando il governo venezuelano stava "mettendo le mani addosso" ad una nota banca spagnola, il Señor Zapatero ha risposto per le rime: "staremmo molto attenti a come si svolgono le negoziazioni con la nostra banca con interessi spagnoli". E a quest’ora il governo venezuelano sta già pagando.
Quindi mi chiedo
–dice Giovanni Petrella Battista- il governo italiano, per caso, non può fare qualcosa di simile affinché gli italiani (molti dei quali sono pugliesi) siano risarciti al giusto prezzo per le imprese espropriate?
La storia non finirà a breve: tutti noi abbiamo paura, viviamo istericamente o sotto stress (come volete) collettivo e permanente. Tutti ci domandiamo se si può vivere così in un Paese cui, come emigranti, abbiamo volontariamente offerto la migliore parte della nostra vita: la gioventù.
Spero, a nome di tutti gli italiani che vivono nel Venezuela e specialmente a nome degli imprenditori disastrati legalmente, che questo lacerante messaggio possa arrivare, attraverso la stampa, al Consiglio dei Ministri e al Presidente Silvio Berlusconi.
Spero che quanto prima intervenga in favore di un maggior rispetto per la comunità italiana da parte del Venezuela, nazione "senza grazia" come direbbe oggi Cristoforo Colombo.

E finisce il Presidente dell’Associazione Pugliese dello Zulia: Sappiamo benissimo che quello che gli italiani fanno dentro e fuori l’Italia è lavorare, lavorare, lavorare. Per questo portano progresso ovunque.
A noi, italo-argentini che viviamo in Argentina, ci tocca da vicino questo appello del Petrella Battista e ben potremmo farlo estensivo al governo argentino dopo l'espropriazione della Ternium Sidor, appartenente al Gruppo “Techint” della italianissima famiglia di Agostino Rocca, nel Venezuela.