In seguito la relazione del Prof. Arch. Jorge Alberto Garrappa, docente dell'Universidad Catolica de Santa Fe (Repubblica Argentina) presentata ad Erba, Provincia di Como in Regione Lombardia (Italia), il 28 agosto 2009.
All'Université d’été: colloqui di Arosio sul Paesaggio, VI Edizione - 2009, presieduto dall'avv. Giovanni Bana (foto), stettero anche presenti rappresentanti delle diverse comune del territorio lombardo nonchè della maggior parte delle regione italiane. Ecco il testo.
Ormai le grandi estinzioni delle speci animali sulla terra sembrano lontanissime come gli immani cambiamenti geomorfologici, fisici e chimici.
L’uomo moderno ha cambiato il proprio rapporto con il territorio e ha trasformato il paesaggio…eccome!
Oggi abbiamo un paesaggio agrario diverso, mutevole, antropizzato, prodotto dalle vicende della storia e dall’economia del Paese.
Il granaio del mondo
Andando indietro nella storia dell’America Latina, l’Argentina del 1880, sotto il motto “governare è popolare”, diventava un Paese agrario, produttore di materia prima, guadagnandosi il nome di “Granaio del Mondo”.
Molti pensano che questo ruolo le venne assegnato dalle potenze europee che allora comandavano il mondo industrializzato.
Persino il disegno originale della struttura ferroviaria argentina -fatta dagli inglesi e francesi- formava una sorta di “ventaglio” od “imbuto”, il cui vertice finiva nel porto esportatore di Buenos Aires.
A quell’epoca il paesaggio agrario era assolutamente diverso da quello di oggi, e gli agrari –maggiormente emigrati italiani- abitavano e lavoravano in mezzo a quella campagna immensa, da poco civilizzata, intorno a piccoli casolari e paesi che funzionavano da supporto alle loro unità produttive.
L’agricoltura ebbe però un cambio qualitativo durante quella rivoluzione industriale agricola del XVIII e XIX secolo ma è nel XX, quando si sviluppa un’agricoltura di alti consumi -chiamata “rivoluzione verde”- e verso la fine del XX secolo e principio del XXI, che cambia ancora con lo sviluppo della biotecnologia, cioè, dell’ingegneria genetica e la clonazione.
La febbre dei fumaioli
Nel 1914, sotto la presidenza di Roque Sáenz Peña, l’Argentina contava 7.904.000 abitanti e, nel 1947, presieduta da Juan Domingo Perón, raggiungeva una popolazione di 15.894.000 persone.
Oltre alla crescita geometrica della popolazione, a metà del XX secolo, il diffuso processo industriale svuotava la campagna e riempiva le città di “manovali” e “braccianti” che ormai volevano diventare “operai”.
La “febbre dei fumaioli” faceva così traslocare migliaia di persone e famiglie nei pressi della Capitale dello Stato nonchè delle altre “megalópolis” come Cordoba o Rosario, nella Regione Centrale.
Le maggiori possibilità di lavoro e benessere si erano spostate nei centri urbani per cui era preferibile essere “cittadino” più che “contadino”.
Meglio diventare chirurgo, avvocato od ingegnere che continuare a “lottare”, dal mattino alla sera, contro le forze della natura, le coltivazioni o l’allevamento del bestiame.
C’era stato un cambiamento della cultura, ma non solo; il campo serviva alle città ed ai fabbisogni del commercio estero dell’alimentazione, mentre le città dilagavano sulle pianure modificando il paesaggio agrario circostante.
I proprietari della terra ora risiedevano in città mentre i loro dipendenti adoperavano le unità produttive e, contemporáneamente, fornivano ai cittadini -tra cui i loro padroni- la materia prima destinata ad una alimentazione che migliorava sia nella qualità sia nella quantità.
Nascevano anche i mega-cinturoni periferici misti che prendevano il motto di “Gran”, cosi sorgono il Gran Buenos Aires, Gran Rosario, Gran Cordoba, Gran Mendoza e così via.
E all’estrema periferia, un nuovo cinturone marginale veniva ancora formato dalle cosiddette “villas miseria”.
L’Argentina ha una superficie di 3.761.274 Km2 e, secondo il censimento del 2001, una popolazione complessiva di 36.260.130 abitanti.
Conta nell’Area Metropolitana di Buenos Aires complessivamente ben 11.417.630 abitanti (la sola Capital Federal: 2.768.677 ed il Conurbano bonaerense: 8.684.953) mentre Cordoba ammonta 1.368.301 e Rosario 1.159.004 persone.
La diaspora cittadina
Negli ultimi anni, la “diaspora contadina” verso le città industriali, ha cominciato ad andare in retromarcia e non per scelte sociali, ma per un motivo ben diverso: la sicurezza.
Lo scoppio di “quartieri chiusi” -in sobborghi o zone rurali- chiamati “countryes” (quale riferimento a “Paesi” in lingua inglese), ha fatto sì che i cittadini diventino neo-contadini e, di conseguenza, modifichino il paesaggio rurale esistente.
Anche il paesaggio culturale urbano è cambiato molto. I centri storici e commerciali delle grosse città vengono ormai inquinati, non solo dalle auto o dal fumo delle fabbriche più o meno vicine, ma dai reati come i furti o sequestri “express” seguiti da morte.
A parte questo, le strade vengono talmente invase da “piqueteros”, gruppi di lava-vetri, travestiti, giovani alcoolizzati e drogati -per lo più violenti-, che hanno fatto sì che i (vecchi) residenti di queste zone privilegiate se ne vadano quanto più lontano.
Quelli che –per motivi economici- non ce la fanno ad andarsene, cercano invece di proteggersi in qualche modo.
Anche le più incredibili soluzioni si sono viste negli ultimi tempi nel Gran Buenos Aires quale l’erezione di un muro, alto due metri, lungo una strada tra due quartieri!
Ecco perchè molti decidono di spostarsi in campagna e preferiscono fare un congruo numero di chilometri al giorno per andare a lavorare, ma vivere in una realtà più accettabile.
Il nuovo paesaggio rurale
“Capiamo il paesaggio come l’ordinamento spaziale imposto o ambiente socialmente costruito che combina potere politico-economico con leggitimazione culturale che riconfigura elementi vernacolarii pre-esistenti con la finalità di creare un nuovo senso della esperienza di luogo” (Zukin 1996).
Lì, dove prima c’era un coltivato variopinto, ora c’è un abitato colorito in mezzo ad un parco ben curato, a fianco di un’autostrada ipertrafficata.
Come una costellazione, i “countryes” si diramano sulla campagna verde che circonda le grandi e le piccole città industriali dell’intero Paese.
A poco a poco, la vita intra-moenia di quei cittadini “emigrati”, va cambiando radicalmente: i nonni scappavano dai fantasmi della miseria e della fame in terza classe di un vascello fatto apposta per trasportare gente povera, i loro nipoti traslocano in un “country” in cerca di sicurezza.
In cerca di una vita al sicuro
Queste attività private sono simultaneamente rappresentative di operazioni di riqualificazione di aree suburbane non qualificate e della peri-urbanizzazione di settori medi in spazi staccati dalla centralità metropolitana.
Ecco gli obiettivi principali di questi quartieri chiusi:
• Sono circondati da una cinta muraria e cancelli, cioè, si mette in atto una forte barriera fisica.
• L’ingresso è ristretto a persone non autorizzate, rendendo più evidente e visibile la segregazione urbana.
• A volte, questi complessi, vengono eretti nei confini delle “villas miseria” per cui le differenze sociali si fanno più evidenti ancora.
• I suoi abitanti cercano l’omogeneità sociale ed uno stile di vita determinato.
• Costituiscono una “soluzione” alla problematica della sicurezza sociale urbana e privatizzano lo spazio pubblico.
Malgrado le previsioni prese dai pianificatori -nel disegnare il territorio- e degli investitori, la sicurezza sociale non si può mai garantire con una cinta muraria, ma con politiche sociali, educazione e controlli.
Nella prima decade degli anni ’80 c’erano solo una ventina di “countryes” nei pressi della Capitale dello Stato, ventisette anni più tardi ce ne sono oltre i 700.
Questi progetti occupano più di 350 km2, cioè 1,7 volte la superficie della complessiva Città di Buenos Aires.
Fino al 1991, erano ben pochi a vivere in questi quartieri privati in modo permanente, anzi, queste abitazioni erano considerate e usate come “case di campagna”.
Nel 1994, c’erano circa 1500 le famiglie residenti ed oggi sono oltre 400.000 persone, di cui 150.000 giovani e bambini che vi risiedono.
In cerca di una vita sana
Da questo processo di “trasloco” e riorganizzazione sociale risulta un nuovo tipo di uso sia delle città sia della campagna.
Si valorizza di più la rete meno densa del tessuto urbano, le aree all’aperto, il paesaggio prevalentemente verde e la vita più serena.
Si lasciano alle aree centrali della città le funzioni amministrative, il terziario, il commerciale, gli edifici pubblici, anche se ciò ci rende sempre più dipendenti dai mezzi di trasporto privati o pubblici, questi ultimi da noi già ossoleti.
Altri invece, che non vogliono vivere al chiuso delle città o dei “countryes”, decidono di comprare “chacras” –cioè piccole tenute- i cui antichi abitati vengono rifatti con tutti gli impianti moderni, per poi fare l’orto e l’agrumeto, nonchè coltivare qualche pezzetto di terra ed allevare figli e nipoti come all’epoca degli antenati, fruendo contemporaneamente di servizi moderni.
L’agriturismo
A causa dello stress che comporta la vita moderna, la “classe media cittadina” sceglie di ritrovarsi con il paesaggio naturale, di scoprire la convivenza con gli altri, di godersi dei buoni cibi tipici, il folklore, profumi e sapori diversi.
Sull’estensione del territorio argentino l’attività si sviluppa presso stabilimenti di diverso tipo, scala e categoria.
Sono oltre 500 le tenute di circa 50.000 ettari, campi medi, “chacras” d’allevamento di piccoli animali -di circa 1 ettaro- che sono attive, a volte da più di 200 anni.
Alcune abitazioni si caratterizzano per l‘architettura francese, italiana, inglese o di stile coloniale spagnolo, molto spaziose e arredate con lusso.
In ogni zona geografica del Paese è possibile trovare tipologie diverse, secondo il diverso ambiente naturale, dal nord asciutto e caldo fino al freddo oceanico del sud, passando dalla fascia centrale più tiepida.
Le attività di svago più richieste vanno dalla pesca alla caccia, dalle passeggiate a cavallo al trekking, l’osservazione e l’esplorazione della natura.
L’alimentazione
Fino al 1920 si raggiunge il punto più alto dei cambiamenti alimentari della Repubblica Argentina.
Però, ovviamente, non è una cucina interamente argentina ma, per lo più, una cucina dell’emigrazione, modificata all’uso argentino.
Ciò sorprese moltissimo gli italiani che si recarono in Argentina e si trovarono davanti a loro piatti tipici ma preparati in un modo diverso e con altri ingredienti.
Il “boom della soia”, scatenato dagli alti prezzi internazionali del prodotto per la gigantesca richiesta della Cina, i bassi prezzi del bestiame “in piede”, nonchè del latte, hanno reso possibile un’altro cambiamento del paesaggio agricolo.
Dall’allevamento di bestiame e dalla produzione di latte, i produttori si sono spostati verso le coltivazione di soia. Ciò ha messo talmente in bilico la produzione di carne e di latte da prevedere di dovere importare questi prodotti nel 2010.
Sembra incredibile, ma potrebbe anche darsi, se non cambiaranno radicalmente le politiche nazionali mirate ad aumentare i prezzi e il numero di “madri” e vitelli fino ai livelli storici.
Le nuove speci in estinzione
Tanto per lanciare un leggero sguardo sulle nuove speci in estinzione, voglio dirVi che questi cambiamenti culturali e del paesaggio, hanno pure modificato la biodiversità.
In Argentina, si è scatenata poco fa un’epidemia di “Dengue”, cioè, la malattia portata da un tipo di zanzara egiziana.
Ma perche queste zanzare vivono tra di noi e si molteplicano da diventare una pandemia di cosi grande portata?
E’ vero che la povertà, l’abbandono e la negligenza ufficiale hanno contribuito, ma anche perché pipistrelli, rane e rospi sono quasi scomparsi.
Si sa che un rospo mangia 15000 insetti al mese ed un pipistrello oltre 600 al giorno. Perchè allora restano cosi pochi pipistrelli e rospi? Non ci sono motivazioni univoche al riguardo ma vero è che una volta eravamo abituati a vedere rospi ed altri insetti che divoravano le zanzare.
Ritengo che le disinfestazioni di massa, sia per proteggere le coltivazioni, che contro le zanzare, abbiano avvelenato pipistrelli, rospi e rane, mentre le zanzare sono diventate più resistenti.
E così anche per altre speci di uccelli e serpenti, nei confronti dei topi, che sono sparite, ed hanno reso possibile un pericoloso sbilancio biologico.
Recentemente, in Provincia di San Luis, si è proposto di allevare e ripopolare i dintorni delle città con rospi come risposta alla diffusione e contagio del “dengue”.
Conclusioni
• Come si è detto, molte sono le cause delle migrazioni sociali tra campagna e città e, in verità, sembra improbabile che nei prossimi anni la diaspora cittadina si possa fermare.
• Paradossalmente, è la popolazione che abita in città quella che ha la decisione sul destino del paesaggio circostante, anche quando non conosce bene quale siano le responsabilità.
• C’è la consapevolezza che si può vivere in campagna con le comodità della città, cioè in un quartiere di “chacras” con servizi di depurazione delle acque, banda larga, televisione e telefonia satellitare, protetti da guardia privata e lontano da “gruppi sociali emarginati”.
• Dal momento in cui un terreno, di circa 4000 m2, può costare oltre 130.000 dollari, il settore immobiliare e dell’edilizia spingeranno fortemente per dare continuità a questi progetti con cui sarà possibile avere forti introiti.
• Certo è che la mancanza di politiche di Stato, di protezione del paesaggio e del medio-ambiente, renderà sempre più difficile dire di no ai grossi investimenti economici che perseguono solo il profitto.
• La trasformazione della struttura paesaggistica però, si deve non solo alla crescente occupazione territoriale da urbanizzazioni, ma dall’incremento del confine agricolo associato al monocoltivo della soia.
• Di conseguenza, la frammentazione del paesaggio, la perdita o riduzione di habitat, è la causa principale dell’estinzione di speci negli ultimi tempi.
• Sarebbe perciò ottimo giungere ad un equillibrio tra città e campagna tramite una decentralizzazione industriale combinata con politiche sociali di ridistribuzione delle risorse naturali e della ricchezza economica.
• La carenza per anni, di leggi che proteggano il patrimonio naturale, ha reso possibile che grandi gruppi economici multinazionali, si rechino nel sud dell’Argentina a scopo d’impadronirsi della gestione dell’acqua che, secondo gli esperti, mancherà in molte zone geografiche nei prossimi anni.
• Finalmente, un’altra “spada di Damocle” ci sta sulla testa degli argentini che vedono come si sta allontanando la piattaforma continentale delle Isole Malvinas di 350 miglia intorno all’arcipelago e l’Inghilterra potrebbe persino controllare anche un bel pezzo dell’Antartide.
A questo punto...che faranno gli argentini?
Che sarà dello stupendo paesaggio della Terra del Fuoco, della Patagonia e della partita turistica e agroturistica che potrebbero sostenere e potenziare?
Torneremo a ripopolare la campagna?
ITALIA E ARGENTINA FIRMANO UNA NUOVA COLLABORAZIONE SCIENTIFICA IN AMBITO ANTARTICO
ROMA\ aise\ - Il 29 maggio scorso, presso la sede del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, è stato firmato un accordo cornice tra il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide e la dirección Nacional del Antartico che sancisce la collaborazione tra Italia e Argentina su progetti di ricerca e di collaborazione scientifica. La notizia è stata pubblicata nel portale web "Oriundi" diretto a San Paolo da Vezio Nardini.
A firmare l’accordo, si legge nell’articolo, sono stati il presidente della commissione scientifica nazionale per l´Antartide al MIUR, Carlo Alberto Ricci, e il direttore della dirección nacional del Antartico, Mariano Memolli, in presenza dell’incaricato d´affari dell’ambasciata Argentina, l’ambasciatore Norma Nascimbene de Dumont, del vice presidente dello Scientific Committe for Antarctic Research, Antonio Meloni e di Andrea Lombardinilo del dipartimento Università e Ricerca del MIUR.
Come ha ricordato Ricci nel corso dell’incontro, la collaborazione italo-argentina in ambito antartico dura ormai da più di due decenni, da quando cioè sono iniziate le attività del PNRA in Antartide. "In questi vent’anni", ha precisato il presidente della CSNA, "usando la sismica attiva abbiamo approfondito la nostra conoscenza di queste regioni e in particolare delle strutture crostali. Assieme alla DNA abbiamo avviato, nel campo della sismologia e della fisica dell’atmosfera, progetti comuni in cui la cooperazione è tuttora attiva e produttiva".
Tra le più studiate la regione di Scotia, un’area di circa 900 mila chilometri quadrati nell’Atlantico Sud Occidentale, che si sta rivelando cruciale per comprendere l’evoluzione geologica del continente antartico e l’influenza che ha avuto l’apertura del canale di Drake nel processo di generazione della corrente circumpolare antartica e dell’inizio della glaciazione antartica risalente a 35 milioni di anni fa.
"L’impiego della sismologia ha dato un consistente impulso alle ricerche", ha commentato ancora Ricci. "All’inizio degli anni novanta erano attive in Antartide solo quattro stazioni sismografiche permanenti a larga banda. Nel 1992, l’OGS di Trieste per il PNRA e la DNA argentina, hanno iniziato a potenziare la rete mondiale attraverso sismografi digitali in grado di registrare l’elevata sismicità che caratterizza i margini delle placche tettoniche confinanti con l’Antartide. La prima stazione a larga banda fu quella della base Argentina "Esperanza", che fu in seguito affiancata da altre sei andando a formare la rete ASAIN - Antarctic Seismographic Argentinean Italian Network. L’ultima, in ordine di tempo, è la Base Belgrano II, installata a soli 1300 chilometri dal Polo Sud”.
Il portale web Oriundi rende noto che, a partire dal 2005, l’Argentina rese disponibili in tutte le basi delle linee satellitari che hanno permesso all’OGS di realizzare il collegamento in tempo reale delle stazioni ASAIN con l’Istituto Antartico Argentino, con l’OGS in Italia e con i centri sismologici internazionali Orfeus in Europa e dell’USGS negli Stati Uniti. Ma la collaborazione tra i due Paesi è andata ben oltre, estendendosi a ricerche di fisica e chimica dell’atmosfera nelle regioni polari e circumpolari, e coinvolgendo altri enti di ricerca, come il CNR, i cui ricercatori svolgono un ruolo di primo piano per le misurazioni della Co2, rilevando costantemente, sin dal 1992, le concentrazioni di fondo di questo gas serra.
Nel prossimo futuro, grazie all’accordo recentemente siglato e all’attenzione manifestata dal Dr. Lombardinilo del MIUR verso le ricerche antartiche, sono da prevedere nuove attività che riguardano gli effetti della radiazione UV sugli organismi viventi, incluso l’uomo, la biodiversità, la concentrazione e distribuzione di microcontaminanti, l’evoluzione geologica del sistema Tierra del Fuego nella penisola antartica e la dinamica glaciale.