Leggendo una rivista “Caras y Caretas” -degli inizi del XX secolo- mi sono fermato in un articolo cui autore afferma che se avesse una figlia non vorrebbe che imparasse la lingua italiana, almeno prima di sposarsi.
Ho capito da questo commento che, altrimenti, la ragazza cadrebbe inesorabilmente nelle reti linguistiche-gestuali di qualche giovane emigrato italiano che, in quegli anni, sbarcavano in centinaia a Buenos Aires.
Basta solo sentire dire pomeriggio, mezzogiorno, tartaruga u ostrica per innamorarsi di quella lingua musicale che, accarezza l’orecchio e ammorbidisce il cuore, rendendolo più vulnerabile.
La lingua italiana comunque, non solo può suonare cosi dolce e sensuale, può anche lacerare quando è utilizzata in una lite o un’appassionata discussione sia per strada sia nel Parlamento della Repubblica.
C’è pure il fatto che, in Argentina, la lingua italiana si capisce pressoché senza difficoltà, anche se non sia parlata quotidianamente da tutti.
Ovviamente, con tanti emigrati italiani è talmente usuale sentire le loro parole e modi di dire che essi fanno già parte del lessico dell’argentino medio.
Non solo i più umili mortali pensano cosi, pare che anche Carlo V si sia accorto delle virtù della lingua Dantesca e abbia detto che lui parlava con i suoi soldati in francese, con il suo cavallo in tedesco e con le donne in italiano.
Il compimento del Re verso della lingua italiana, nei confronti delle donne, è proprio quello che preoccupa l’autore dell’articolo della “Caras y Caretas”.
Il fascino del linguaggio italiano però, è che la gestualità fa anche parte di esso e si parla non solo con la bocca.
Anzi, con le varie parti del corpo, cioè con le mani, con la ditta, con il movimento delle braccia, con la testa, con un sorriso, con una piega o una caduta di occhi, che faranno capire subito il senso del discorso o del richiamo.
Nel 1958 -il maestro del “design”- Bruno Munari, pubblicava il suo divertentissimo “Supplemento al Dizionario Italiano“.
In questo suo testo, l'autore esamina i vari modi di esprimersi senza parlare, non solo con le mani, ma con l'espressione del viso e, come si è detto, con atteggiamenti dell'intera persona.
Semplicissimo…quindi straordinaria capacità di osservazione…come lo sono tutti i concetti di Munari.
I gesti, resi più famosi dal cinema italiano, come l’”ombrello”, le “corna”, “che cosa dici?” (foto), "lui è matto", "tu sei testardo", "quello e' un ladro" o "meglio te ne vai!" sono già usati in tutto il mondo e sono diventati veri cenni universali.
Uno studio condotto da Susan Goldin-Meadow della University of Chicago, ripreso in un commento nella rivista The Lancet (2006;367:1383-4), ha dimostrato che se gli insegnanti, accompagnano alle spiegazioni dei gesti che siano di contorno e di commento alla spiegazione, gli studenti apprendono meglio la lezione.
Non un incitamento alla violenza ma una rivalutazione della capacità di gesticolare mentre si parla e si comunica, elemento spesso distintivo degli Italiani al di fuori dei confini della politica e per cui molti ci prendono in giro.
Il risultato ha evidenziato che il linguaggio informale, di cui la gestualità fa parte, aiuta gli studenti a comprendere meglio le materie più ostiche.
In particolare tanto più i due linguaggi, quello verbale e quello del corpo, danno informazioni diverse tanto più l’informazione che se ne riceve è completa.
Gli allievi di insegnanti che gesticolano molto capiscono meglio e trovano loro stessi dei gesti per esprimersi a loro volta.
Si rivaluta, dunque, l’importanza del linguaggio fatto di gesti e non solo per farsi comprendere meglio ma anche per sviluppare in maniera diversa il cervello e la sua capacità di integrare le informazioni.
Insomma, ancora una volta, gli italiani partono in testa e ci dimostrano palesemente che -nel campo della comunicazione umana- l'uso delle mani stimola la intelligenza.