Il 25 dicembre 2003, il creatore dell’inno degli emigrati italiani in Argentina moriva di polmonite in un ospedale di Albuquerque, New Mexico (USA).
Un anno dopo la scomparsa del Trovatore degli emigrati italiani, scrissi un articolo per il Giornale dell’Isola, che comanda il mio grande amico, Gabriele Previtali.
A quel punto ero certo che le parole della canzone Ue! Paesano attraversavano il cuore e l’anima di ogni italiano che le ascoltassero.
Oggi sono convinto che sia questa la canzone che rappresenta gli emigrati italiani nel mondo come nessun’altra.
Nicola Paone ne aveva venticinque anni quando, davanti a Radio “El Mundo” di Buenos Aires -accompagnato da una chitarra- cantava “dal vivo” le sue canzoni a quelli che passeggiavano per strada o lavoravano presso la propria “broadcasting”.
Cercava l’opportunità di farsi vedere –ed ascoltare- finché un giorno venne invitato a entrare nello studio. Per la prima volta furono tramandate alcune sue canzoni pero il grande successo avvenne con “Ue…paesano…”. Quel brano che diventerà vero “inno nazionale” degli emigrati italiani in Argentina. Le parole semplici, sentite e commoventi, rapidamente furono intonate dappertutto e da tutti.
La prima stroffa, dopo chiamare l’attenzione dei paesani, ci racconta perche gli italiani dovevano abbandonare l’Italia:
L’Italia è piccolina,
c’è gente in quantità
e questa è la rovina
che non si può campar
Le piccole dimensioni di un territorio sovrappopolato sono, secondo lui, la rovina che non si può campar”.
A parte questo, le brutte condizioni di vita, facevano si che, agli italiani, suonasse come un bel “canto di sirena” quello di: “All’ estero si sta meglio di qua e si può guadagnare bene”… e Nicola scrisse:
Ogn'uno vuole andare
all'estero, si sa,
per guadagnare del pane
per babbo e per mammà
Il prezzo era comunque altissimo:
E lascia la famiglia
di casa se ne va.
Guadagna il pane sì
ma perde la felicità
Bisogna rendersi conto del dolore e la sofferenza subite delle persone strappate dai loro cari per andare ad inserirsi in una realtà cosi diversa, per un pezzo di pane...
Nel passato, forse la più dura punizione era l’esilio e, benché questo “esilio” fosse diverso perche “volontario”, l’avventura di buttarsi al vuoto per ritrovare la speranza perduta, ci stava.
Spose e mamme che avevano perso loro cari in guerra, non volevano più che un figlio fosse mandato ad una prossima guerra che senz’altro ci sarebbe, più tardi o più presto, e con tutte le sue piaghe. Purtroppo ebbero ragione, la guerra riscattò ancora una volta e raddoppio i milioni di morti di quella prima.
Il ritornello fa intravedere la preoccupazione di sapere su degli altri: Ue…paesano, come sta…? Perche questa domanda?
Vuole dire che facevano finta di stare bene, anche se non ci stavano mica bene?
Forse sì.
E’ anche vero che la solitudine e l’isolamento dei primi tempi si sentivano di più e tutti capivano che ci voleva stare vicino all’altro appena arrivato.
Lei sa che quel che dico è verità...
Passa per le vie del mondo,
vede un tipo che è italiano,
vada a stringergli la mano
chissà in cuor che cosa ci ha...
Paone raccomanda stare vicino loro intanto che italiano…fargli sapere della condizione d’immigrante e contemporaneamente voler sapere su di lui e su dell’Italia mai scordata.
Gli emigrati infatti, avevano una grande preoccupazione per la salute dei genitori, piuttosto anziani, rimasti oltre oceano. La lettera era l’unico mezzo di sapere qualcosa su dei parenti lontani.
Anche se le cose non fossero andate come programmate nessuno avrebbe voluto portare nessun dispiacere ai suoi cari
Inchiostro carta e penna.
Carissima mammà
io qui sto molto bene,
non ti preocupar
E tu dimmi come stai
e come sta papà.
Ti prego di rispondere
e non mi far aspettar
Dopo qualche mese, faceva paura aprire la posta in arrivo, perche la più dolorosa notizia di tutte, quella mai voluta, potrebbe venire cosi informata…da un freddo pezzo di carta…cosi di un tratto…come un secchio d’acqua fredda sulla schiena…
E aspetta aspetta
un giorno una lettera ci stà,
e una sorella dice
che non c’è più mammà...
Allora, il dolore infinito e l’impotenza invadevano il cuore e l’anima dell’immigrante che, in solitudine, piangeva anche per il rimorso d’aver preso quella decisione.
Queste pene e disagi dovevano comunque unire di più gli italiani all’estero
Ma lei è forse piemontese,
lombardo, genovese,
è veneto, giuliano, tridentino, emiliano,
delle marche oppur toscano,
forse umbro mio paesano,
dall'abruzzo, dalla materna,
quella nostra Roma eterna
È di Napoli, pugliese,
forse sardo o calabrese,
lucano, siciliano.
Cosa importa, è italiano!
E se è italiano basta già!
Paone richiama la fratellanza fra gli italiani al di là delle differenze regionali o culturali, chiede dimenticare gli scontri fra “terroni” e “polentoni” perche, alla fine, tutti facevano parte della stessa avventura di “rifondare” un’Italia lontana senza divisioni né distinzioni…senza dimenticare la terra natia e avendo sempre la speranza di tornare a visitare parenti ed amici:
Perché l'Italia è tutta bella
e anche questo è verità,
senza alcuna distinzione.
Dia la mano e venga qua...
Nicola Paone, figlio di un immigrante siciliano -minatore di carbone- era nato a Barnesboro (Pennsylvania) Stati Uniti, il 5 ottobre 1915.
Sua famiglia rientrò in Sicilia quando ne aveva solo cinque anni, poi Nicola tornò negli Stati Uniti a quindici anni già nazionalizzato italiano ed essendo contadino.
La depressione lo porterà in Argentina, Paese in cui divenne l’artista più popolare del decennio “peronista”.
Le sue canzoni fecero ridere e piangere a tutti gli emigranti italiani ed ebbero grande successo in tutto il Sudamerica come negli Stati Uniti. I suoi successi furono “La caffettiera”, “C'è chi la vuole cotta, c'è chi la vuole cruda” tra l’altro.
Nel 1953 si fa il film Uei Pesano sotto la regia di Manuel Romero e con la partecipazione di attori come Cayetano Biondo, Fernando Borges, Osvaldo Bruzzi, Susana Campos e Gregorio Cicarelli.
In quel film, Nicola Paone, fece la musicalizzazione e la storia gira intorno agli emigrati nei confronti degli argentini.
Nel Maggio del 1954, Cesco Tomaselli -giornalista del “Corriere della Sera”- scrisse che funzionari del Governo di Juan Domingo Peron, minacciato da un colpo di stato, lo avrebbero costretto a calmare la folla -di oltre 500.000 persone- riunita sull’Avenida 9 de Julio.
Paone venne introdotto, di nascosto, in un’ambulanza per cantare “Ue... Paesano”, cui parole richiamano la fratellanza fra tutti gli immigranti.
Perciò, nel 1955 fu proibito dalla chiamata “Rivoluzione Libertadora” e forzato ad abbandonare il paese, negli anni ´50 conquistò tutt’i palcoscenici del Nord America, incluso il famoso Palace RKO (Radio Keith Orpheum) ed il Paramont Theater of New York.
Sposò Delia e con lei ebbe un solo figlio: Joseph Paone -detto “Joe”- e due nipoti, Nicola (Nick) Paone ed Elizabeth (Beth) Paone Fuller.
Nel 1958 aprì il Ristorante Italiano “Nicola Paone”, sulla 34 St. della “Grande Mela”, per dedicarsi alla gastronomia per oltre 40 anni. A parte il cibo tipico italiano, la sua cantina è famosa per la selezione di vini che ha.
Politici, artisti e figure dello spettacolo come Robert Wagner o Rudolph Giuliani hanno frequentato la sua tavola.
Nel 1996 tornò in Argentina e disse in televisione:
“Per andare in paradiso, dall' Argentina è più corto il cammino”.
Poi raccontò la sua storia e diede la sua ricetta di vita: “Mi sento bene e so cosa fare per non fallire, un bicchiere di vino ogni tanto, lunghe passeggiate, carezze con mia moglie, mio figlio e i miei nipotini. Canto tutte le mattine. Sono felice”.
Una delle sue ultime composizioni “Canta, Argentina, Canta”, fu dedicata al paese che lo portò al successo. “Argentina mi attira moltissimo, io l'adoro con passione e sofferenza”, disse.
Nel 1998 lasciò l'amministrazione del Ristorante al suo amico Franco Alfonso ed è stato proprio lui a spiegare che il “crollo” di Paone non ebbe origine in problemi di salute ma nella morte di suo figlio Joe, tre mesi prima della sua scomparsa avvenuta il giorno stesso di Natale.
Nicola Paone morì di pneumopatia in un ospedale di Albuquerque (New Mexico) il 25 dicembre 2003 all’età di ottantotto anni.
Da quest’umile posto di lavoro faccio appello al Ministero degli Esteri finche ascolti questa bella canzone e la dichiari Inno degli emigrati italiani di tutto il mondo.