Siccome ho sempre creduto, che in ogni evento importante dell’umanità, c’è sempre stato presente un italiano, qualche anno fa mi sono messo ad indagare sulla conquista della luna. Eccolo qui!
Ogni anno viene ricordata la giornata mondiale dell’amicizia, ma forse non molti si ricordano, oppure non lo sanno, che a mandare il primo uomo sulla luna, fu un italiano.
3,2,1...gooo. Erano le 9.32 del 16 luglio 1969 quando, dalla consolle di comando della "fire room" n° 1 di Houston, Rocco Anthony Petrone dette il via alla missione “Apollo 11”.
Accanto a lui c’era Wernher von Braun e, incollati alle televisioni in bianco e nero di tutto il mondo, miliardi di occhi increduli.
21 luglio (in Italia), il Comandante della missione Neil Armstrong, il Pilota del modulo di comando Michael Collins ed il Pilota del modulo lunare Edwin Aldrin Jr., toccarono il suolo lunare. Una storia incredibile, quella di Rocco, raccontata da Renato Cantore nel libro "La tigre e la luna".
Perché la tigre? Ma perché l'italo-americano era soprannominato dai colleghi della Nasa la tigre di Cape Cañaveral.
E per capire il perché, basta scorrere la biografia di un uomo in cui convivevano inflessibile tenacia e una memoria prodigiosa che, racconta chi ci ha lavorato, lo faceva assomigliare a un computer. Quando mio figlio mi domandava perché fossi sempre assente - raccontava Petrone ai pochi cronisti che riuscivano a incontrarlo - io gli parlavo delle grandi conquiste dell'uomo e dello straordinario privilegio che lui e milioni di persone sparse nel mondo avrebbero avuto nell'assistere alla conquista della Luna. Soffrivo, ma non ho mai avuto dubbi. In otto anni di preparazione, dai razzi Saturno ai primi lanci di Apollo, ho accumulato più esperienza tecnologica di quanta una persona normale ne faccia in tutta la vita. E arrivai all'appuntamento sicuro di poter contare su una squadra eccezionale.
La leggenda comincia nel 1926 quando ad Amsterdam (New York) nasce Rocco, il figlio terzogenito di un carabiniere nato a Sasso di Castalda, un paesino in provincia di Potenza (Basilicata), abbandonato per cercare fortuna negli Stati Uniti. Un lavoro nel settore dei trasporti, ma papà morì quando il piccolo aveva appena sei anni. Fu il cugino, docente ad appena trent'anni che aveva conosciuto quanto lui le sofferenze della fame, a intuirne le grandi capacità. Soprattutto per la matematica e lo indirizzò agli studi tecnici. Dopo gli ottimi voti scolastici, Petrone partecipò a un concorso per entrare nella prestigiosa Accademia militare di West Point. Concorso che vinse, nonostante le origini italiane, un grave handicap nel 1943, in piena seconda guerra mondiale. La mamma e gli zii - ricorda Rocco - ci tenevano molto a che la prima generazione americana dei Petrone facesse strada e l'ingresso all'Accademia mi diede una nuova identità, nonostante odiassi il militarismo. Dopo il servizio militare in Germania, Petrone si iscrisse al celeberrimo Mit, il Massachussetts Institute of Tecnology di Boston. Davanti a lui si schiudevano le porte della carriera militare, ma c'era anche la remota possibilità di uscire dalla divisa per entrare nei progetti spaziali. Affascinato dalle tecnologie aeree e dai missili, ma contrario agli impegni militari, Petrone colse al volo l'opportunità e in due anni conseguì la laurea in Ingegneria meccanica per poter far parte del Progetto Redstone e della squadra di Von Braun e Debus, scienziati tedeschi riconvertiti alle scienze aerospaziali.
«Furono anni indimenticabili - ricorda - Eravamo tutti amici e tutti convinti che mai e poi mai un missile avrebbe potuto portare l'uomo sulla Luna, io per primo. Quando arrivammo, nel 1953, Cape Cañaveral era solo una landa desolata con una carovana di zingari e tante zanzare». Divenuto maggiore, Petrone fu assegnato allo Stato Maggiore a Washington, ma a toglierlo dalla naftalina ci pensò il presidente John Kennedy. Quando chiese a Kurt Debus se fosse possibile inviare un americano sulla Luna entro il 1969, questi rispose: Sì, a patto che mi diate un certo Rocco Petrone che adesso si annoia in un ufficio del Pentagono.
La tigre di Cape Cañaveral, di origine lucana, morì a Palos Verdes Estates (California), all'età di 80 anni, il 24 agosto 2006, lasciando la moglie Ruth Holley e quattro figli.
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