Da una rivista “Fray Mocho” del 1915 scopro che, allo scoppio della Grande Guerra italiana -23 maggio 1915- scheggiava ancora la discussione sulla doppia nazionalità dei figli degli italiani emigrati in Argentina.
Tutto ciò per quanto riguardava loro l’obbligo di arruolarsi nelle forze armate italiane che combattevano contro l’Impero Austro-Ungarico per quelle terre del Trentino e la Venezia-Giulia.
Gli Stati Uniti invece, tramite il loro ambasciatore a Roma, Nelson Page, discutevano da due anni con l’Italia convenienze ed inconvenienze della doppia cittadinanza.
All’inizio della Grande Guerra, entrambi i due paesi, firmavano un trattato percui l’Italia riconosceva che i figli d’italiani naturalizzati americani non erano obbligati a fare il servizio militare, non compresi, ovviamente, i figli degli italiani non naturalizzati.
Ciò nonostante, ogni giorno arrivavano ai porti di Genova e Napoli piroscafi gremiti di giovani “riservisti” italio-americani che volevano difendere la Patria dei loro padri e nonni.
A quel punto si affermava che, l’Italia, non aveva bisogno di soldati che fossero alla guerra per cause strane al patriottismo e, aggiungevano: abbiamo un esercito enorme, fiero, ardito, invincibile…non ha bisogno di “vittime”… “In Italia –diceva un Tenente romano- versano tre cose: cibo, munizioni e soldati”.
Per chiarire questa situazione in Argentina, il corrispondente della rivista FM, si mise in contatto epistolare con note personalità politiche e militari italiani, come il Presidente del consiglio dei Ministri e Capo di Gabinetto, il pugliese Salandra; il Tenente Generale Comandante di Divisione a Torino, Chiarla; nonchè l’esule di Bardonecchia, Giovanni Giolitti.
Il primo –Salandra- rispose testualmente da Roma, il 18 agosto 1915: “Pregiatissimo signore, S.E il Presidente del Consiglio, per un criterio di massima costantemente adottato, si astiene dal fare, in questo periodo di tempo, dichiarazioni ai giornali. Ciò nonostante La prega di scusarlo se non può assecondare la sua cortese richiesta. Nell’adempiere a tale incarico, mi confermo con distinta considerazione. IL CAPO DEL GABINETTO DELLA PRESIDENZA. SALANDRA”.
Come si vede il Ministro elude dare una risposta concreta riparato nel segreto di stato in tempo di guerra.
Il secondo –Chiarla- invece, esprime il suo pensiero molto più precisamente: “Chi ha sangue italiano nelle vene, Italiano è in qualunque paese sia nato – il padre che lascia al figlio il geloso retaggio dell’onor suo ha diritto di lasciargli il titolo del quale, lungi dalla Patria, più si onora, di essere italiano. IL TENENTE GENERALE COMANDANTE DELLA DIVISIONE. CHIARLA. Torino, 15 Agosto 1915.”
Il terzo –Giolitti- che dopo un lungo periodo governativo, brillava nell’ombra come le stelle, rispose: “Bardonecchia, 16/8/15. Pregiatissimo Sig., la questione a cui si riferiva la sua lettera, non può essere risolta che dal governo, le opinioni dei privati anzichè facilitarne potrebbero rendere più difficile una conveniente risoluzione. Mi creda, suo devotissimo. GIOVANNI GIOLITTI”.
Anche in questo caso, il neutralista, si toglie di mezzo non prima di trasferire la responsabilita della decisione al Primo Ministro in carica, cioè Antonio Salandra.
Insomma, la situazione rimane uguale, cioè, i figli d’italiani anche se nati all’estero dovevano fare il loro dovere verso della Patria.
Ciò provocò che molti siano riusciti ad evitare le inchieste militari, muniti da passaporti argentini con cui attraversavano le frontiere del paese. Altri erano perseguitati dalla Polizia come disertori.
Un giurista milanese consigliava allo Stato italiano di usare la legge di estradizione e costringere il governo argentino a estraditare i figli d’italiani “rifugiati” nel paese sudamericano.
Il fatto è che una mossa di questo tipo avrebbe potuto consentire all’Argentina di richiedere l’estradizione di tutti i figli d’italiani nati sul territorio peninsolare.
Perciò lo “statu quo” verrà mantenuto fino ai nostri giorni con la differenza che oggi il servizio militare non e’ più obbligatorio, sostituito dalla professionalizzazione delle forze armate.
Gli italo-argentini che si arruolarono come volontari nelle forze armate italiane contro l’Impero Asburgico, furono lo scultore Manuel Vercelli ed il segretario del Console Argentino a Torino, Ricardo Erber, tra gli altri.
Vercelli era a Torino, per motivi di lavoro, allo scoppio del conflitto mondiale. Si arruola e va a finire in un quartiere sul fronte vicino a Udine. Ogni tanto, quando veniva congedato tornava al suo lavoro di scultore a Torino.
Erber, come si è detto, faceva da Segretario del Console a Torino. Rinuncia a questa carica e si arruola nel Regio Esercito per andare sul fronte italiano a difendere la Patria minacciata.
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