"Escribid con amor, con corazón, lo que os alcance, lo que os antoje. Que eso será bueno en el fondo, aunque la forma sea incorrecta; será apasionado, aunque a veces sea inexacto; agradará al lector, aunque rabie Garcilaso; no se parecerá a lo de nadie; pero; bueno o malo, será vuestro, nadie os lo disputará; entonces habrá prosa, habrá poesía, habrá defectos, habrá belleza." DOMINGO F. SARMIENTO



viernes, 21 de enero de 2011

MODI DI DIRE E... DI MANGIARE!

Por Jorge Garrappa Albani

Questa proposta, focalizzata sulle trasformazioni alimentari degli italiani emigrati in America, tra la fine dell'Ottocento e la Prima Guerra Mondiale, avrà come valore quello d’individuare la “rottura” di certi stereotipi che vedevano la diffusione della cucina italiana come diretta conseguenza del fenomeno migratorio. In realtà si potrà scoprire che, la cucina italiana, è una riscoperta della terza generazione di emigrati, un fenomeno sviluppatosi a partire degli anni ‘70.
L'emigrante all'estero, venendo a contatto anche con cibi che, nella propria patria, erano considerati inaccessibili -ci si pensa alla carne mangiata in eventi straordinari come le ricorrenze di Natale e Pasqua- reinventa la cucina italiana, utilizzando magari ingredienti della propria tradizione regionale, ma creando contemporaneamente nuovi modi di preparazione e ricette.

“L’ACQUOLINA IN BOCCA”

Nel solo pensare ai cibi dell’emigrazione mi viene “l’acquolina in bocca”, non perche sia un ghiottone sfrenato ma perché qui, come in Italia, si mangia qualche volta per necessità e, spesso, per festeggiare...qualsiasi cosa.
Quando ero piccolo, mi cucinava la mamma e, per fortuna, molto bene. Quando andai all’università, mi vidi costretto a cucinare, altrimenti avrei morto di fame. Oggi, ringraziando Iddio lo fa benissimo mia moglie.
Mi fossi piaciuto moltissimo cucinare più spesso, anche se a farlo, avrei avuto bisogno della massima comprensione di mia “dolce metà”... perche, secondo lei, “gli uomini per fare magari una semplice bistecca sporcano tutta la cucina”... Perciò ho smesso... l’alta cucina non è quello che si dice “farina del mio sacco” comunque mi piace il “buon mangiare” sia in famiglia sia con degli amici.
La maggioranza delle ricette ci vengono dai genitori e a loro vennero dai nonni come ai nonni dall’amata lontana terra natia...
A questo punto finisco che, il godimento di mangiare, più che un piacere mondano, fa anche parte della cultura ereditata dai nostri antenati.

“STARE SUI CARBONI ARDENTI”

Tempi difficili quelli degli emigrati appena arrivati in America. Lontano dai loro cari, poca roba nel bagaglio e, al massimo, “cento lire” in tasca...!
Un paese sconosciuto...una lingua latina ma diversa... montagne e coline non ce n’erano tanto vicine ma l’orizzonte infinito... sapori e profumi mai sentiti... e che dire sull’olio... oppure sull’acqua? Sapevano, insomma, di “stare sui carboni ardenti” e senza nessuna possibilità di retromarcia.

“METTERE QUALCOSA SOTTO I DENTI”

I lavori da campagna erano più che pesanti. In tempi di semina e di raccolta si lavorava dall’alba al tramonto, senza sosta. La prima colazione era composta dal “mate cocido” (mate cotto), latte, “pan casero” (pane casereccio) e burro... si prendeva essendo ancora buio... e poi si partiva. Come? Che cos’è il “Mate cocido”? E’ l’infusione più tipica e famosa dell’Argentina...come si fa? Vedete pure...

“Mate Cocido”
(Infusione tipica)

Ingredienti: 1 cucchiaio di Yerba Mate, 100 cm3 circa d’acqua tiepida, zucchero a piacere e 100 cm3 circa di latte tiepido.
Preparazione: Più o meno come il tè inglese ma utilizzando dell’erba sudamericana chiamata “yerbamate”. L’acqua non deve mai bollire finche l’erba non sia bruciata, poi colare e versare dentro di una chicchera e, volendo, si può anche mischiare con un po’ di latte caldo.

Tutto si faceva a casa, anche il pane. Lo faceva la nonna... casalinga, ma non solo. Ci voleva una tavola speciale cioè da rimuovere, fatta di legno e con un vassoio fiondo sotto. Il forno, fatto a forma di volta, era costruito in mattoni, fango e paglia.

“Pane Casereccio”

Ingredienti: 1 Chilo di farina di frumento, 50 gr. di lievito, 450 cm3 circa d’acqua tiepida, 1 cucchiaino di sale, 2 cucchiai di olio.
Preparazione: Nel vassoio fiondo della tavola o semplicemente in un chiccherone senza manico, si metteva la farina facendo un “buco” centrale, poi si sbriciolava il lievito nel bucato. Si versava l’acqua tiepida, a poco a poco, facendo muovere la farina sempre dalla periferia al centro. Si aggiungeva il cucchiaino di sale e si faceva l’impasto. Si lasciava levare la massa dopodiché si rimpastava. Si staccavano dei pezzi, a forma di flautini o di palle rotonde, che erano collocati sul tavolo infarinato a levare un po’ di più. Poi gli si mettevano a cucinare a forno caldo circa 25 o 30 minuti e voilà....

“MANGIARE UNO O DUE BOCCONI”

Spesso, a metà mattina, si faceva una breve sosta cercando di mettere sotto i denti qualche pezzo di pane e un sorso di “mate cocido” per poi continuare i lavori.
Chi non era addetto a quest’infusione... poteva prendere il latte con caffè... avete sentito? Guardate bene che non ho detto “caffelatte”... che è un’altra cosa. Il latte caldo veniva “tagliato” o “macchiato” da un cucchiaio di caffè oppure di “cascarilla” cioè bucciolina di cacao... e già... Con questo boccone nello stomaco si tirava avanti fino a mezzogiorno. Un pranzo, caldo e forte vi aspettava...

“UN BOCCONE DA PRETE”

Benché i cibi fossero umili ed economici, erano pure nutritivi e molto saporiti. La padrona di casa si arrangiava benissimo, per lo più, con poca roba. Faceva un po’ di “magia” e sempre sorprendeva gli uomini con cibi diversi che sembravano loro bocconi da prete come la polenta.

“Polenta”

Ingredienti: 500 gr. di farina di mais, 2 litri d’acqua, sale a piacere.
Preparazione: In una capace pentola portate ad ebollizione l’acqua. Salatela e quindi versatevi lentamente, a pioggia, la farina di mais, rimestando continuamente con un bastone oppure un cucchiaio di legno durante 45 minuti, fino a che la polenta abbia assunto una buona consistenza. A fine cottura, versatela in un piatto con i bordi alti e poi la taglierete col filo di cotone. Tempo di preparazione 1 ora e mezza.
La polenta si consumava prevalentemente d’inverno con la "bagna caoda" oppure col baccalà. Si accompagnava molto bene con il pollo alla cacciatora, con la carne stufata o con la lepre in periodo di caccia.

“LASCIAR CUOCERE NEL PROPRIO BRODO”

Quando si parlava di quello che aveva voluto fregarci, la solita risposta non si faceva aspettare:
A proposito... quanto ci piacevano una bella zuppa, un minestrone o semplicemente un bel brodino fumante che faceva benissimo agli intestini...

“Puchero”
(Bollito)

Ingredienti: 500 g di ossobuco, ½ gallina pulita, 500 g di lingua di manzo, 1 grossa cipolla, 1 sedano, 3 spicchi d’aglio, rosmarino, 5 gambi di prezzemolo, 1 zucca, 4 patate, 4 patate dolce, sale e pepe.
Preparazione: In un grande pentolone portate ad ebollizione 5 litri d’acqua con tutti gli ingredienti per il brodo di cottura. Aggiungete l’ossobuco, la gallina e la lingua di manzo, poi le patate, la zucca e le patate dolce. Appena riprende la cottura continuate la cottura per un’ora circa a coperchio abbassato.

“Minestrone”

Ingredienti: ½ tazza di olio, 1 cipolla tritata, 2 carote, 1 rapa, 1 sedano, 1 porro, ½ cavolo, 1 zucca, 2 patate, 100 gr. di fagioli, 100 gr. di vermicelli, acqua salata a piacere, 6 denti d’aglio, 6 cucchiaii di formaggio grattugiato, 8 foglie di basilico
Preparazione: Fare un soffritto con la cipolla, aggiungere le carote, la rapa, il porro e la zucca, tutto tagliato a dadi, poi aggiungere In una capace pentola portate a ebollizione l’acqua. Salatela e quindi versatevi lentamente, a pioggia, la farina di mais, rimestando continuamente con un bastone oppure un cucchiaio di legno durante 45 minuti, fino a che la polenta abbia assunto una buona consistenza. A fine cottura, versatela in un piatto con i bordi alti e poi la taglierete col filo di cotone. Tempo di preparazione 1 ora e mezza.

“METTERE TROPPA CARNE AL FUOCO”

La “bagna caoda” si faceva -e si fa ancora- con la panna di latte anziché con l’olio di oliva, molto diffuso in Italia ma molto difficile di trovare all’estero... Buona e nutritiva, si mangiava ogni 29 Giugno per la commemorazione di San Pietro e Paolo. Proprio quel giorno si faceva anche un mucchio d’erba secca, il cui veniva acceso in mezzo il campo.

“Bagna Caoda”

Ingredienti: 1 testa d’aglio a persona, 2 acciughe salate, senza scaglie né spine, per ogni testa d’aglio, 150 gr. di panna a persona, Un pizzico di burro.
Preparazione: Si spellava e tritava le teste d’aglio, poi le friggeva in un po’ di burro senza che siano dorate. Si aggiungevano poi le acciughe anche tritate. Si faceva cucinare durante 5 minuti e si aggiungeva la panna di latte. Si lasciava bollire lentamente finche prendeva il colore caratteristico. Si serviva ben calda in una pentola di ferro e collocata su di un riscaldatore, messo al centro della tavola, per mantenere a temperatura costante. Era accompagnato con delle verdure cotte, cioè peperone, cavolo, cardo, cavolfiore oppure delle verdure crude come lattuga, cavolo, peperone o sedano.
Sebbene la “bagna” sia un cibo tipico piemontese, purtroppo allora non era accompagnata dai famosi vini come un “Barolo”, un “Barbaresco” o semplicemente un buon “Dolcetto” delle Langhe ma del vino fatto in casa.
Non vorrei annoiare nessuno con questo discorso, però aggiungerei infine che, ancora oggi d’inverno, una mucca e un maiale sono macellati “in situ” dal padrone con i suoi fa servizi, con cui si fanno dei buoni salumi.

“Salami al grasso”

Ingredienti: carne, lardo, aglio, vino rosso ed erbe varie
Preparazione; Con l’impasto, a base della dose giusta di carne, lardo, aglio, un po’ di vino rosso e alcune erbe, si fa il ripieno del budello, ogni tanto legato con un filo speciale.
Questi salami poi sono appesi da qualche trave di legno in luogo fresco a seccare oppure sono sommersi nel grasso durante qualche mese. Quest’ultimo tipo di salami è il più buono di tutti perche cosi si mantengono morbidi e saporiti.

Cade come una pera cotta che scrivere non è una pacchia per nessuno ma un’arte assai difficile, comunque non serve a nulla piangere sul latte già versato. Mi fa venire la pelle d’oca nel solo pensare alla possibilità di far la figuraccia...Ho cercato di dire pane al pane e vino al vino con l’aiuto della mamma bergamasca e quello di mia “dolce metà” piemontese. Entrambe due non sono voluti apparire, dissero, per non fare concorrenza... sorridevano con certa complicità quando lo dicevano... chissà perché. chiedo scusa in anticipo a tutti i lettori...e pietà nel loro giudizio. Vedete questo lavoro solo come un piccolo contributo.
A tutti, grazie mille.