"Escribid con amor, con corazón, lo que os alcance, lo que os antoje. Que eso será bueno en el fondo, aunque la forma sea incorrecta; será apasionado, aunque a veces sea inexacto; agradará al lector, aunque rabie Garcilaso; no se parecerá a lo de nadie; pero; bueno o malo, será vuestro, nadie os lo disputará; entonces habrá prosa, habrá poesía, habrá defectos, habrá belleza." DOMINGO F. SARMIENTO



domingo, 15 de marzo de 2009

FLIGLI D'ITALIA NEL MONDO... LA PATRIA VI RICHIAMA...!!! (1a. puntata)

Da sempre mi ha inquietato sapere come reagivano gli italiani residenti in Argentina rispetto alle guerre in cui l’Italia era stata coinvolta.
Ho appreso che la prima guerra in Etiopia (1895-1896), la guerra contro i turchi (1911-1912) e la Grande Guerra (1915-1918), contribuirono a rafforzare la solidarietà e l’identità tra gli italiani residenti in Argentina.
Nonostante qualche differenza, la maggioranza degli emigrati agiva in un clima di patriottismo sopportato dalle Società Italiane, dai Circoli regionali e dalla stampa della collettività che appoggiavano gli sforzi bellici italiani.
L’Italia intendeva posizionarsi meglio tra le potenze europee che concorrevano per allargare le loro dominazioni colonialistiche in Africa. Malgrado le limitazioni italiane, in quella corsa il Regno non poteva fermarsi altrimenti sarebbe rimasto fuori dai tavoli in cui venivano prese tutte le decisioni mondiali.
Ecco perchè la partecipazione dell’Italia nel 1915 a fianco dell’Intesa contro il nemico eterno, l’Austria-Ungheria, riuscì ad unire la maggioranza degli italiani residenti in Argentina.
Tra il 1915 e il 1918 i fondi raccolti in seno alla collettività italiana in Argentina raggiunsero oltre i 1.000.000.000 di Lire ed il numero di rimpatriati, sia da volontari che da chiamati alle armi, raggiunse i 32.430 (1)
A parte questo, la società argentina espresse simpatia agli ospiti italiani ed alla loro giusta causa per recuperare le terre irredenti. Alla fine anche gli argentini sapevano di questioni territoriali sia con il Cile che con il Regno Unito.
Forse per questo non si considerò mai nessuna manifestazione di patriottismo come pericolosa o contraria alla lealtà verso la patria adottiva. (2)
Nel 1933 Il Mattino d´Italia, quotidiano fascista degli italiani immigrati in Argentina, lanciò un referendum tra i suoi lettori. Dovevano rispondere alla domanda: “Cosa direste a Mussolini se aveste occasione di parlargli?”. Ebbe un successo straordinario. Risposero in 44.000. Per gli “italiani all’estero”, come lui stesso aveva voluto ribattezzare gli emigrati, il duce era l’uomo che aveva dato alla patria ormai lontana un ruolo nel mondo. Era un "padre dell’umanità", un "redentore", un "messia". (3)
Comunque la guerra italo-abissina degli anni 1935 e 1936 provocò divisioni politiche tra fascisti ed antifascisti, prima all’interno della collettività italiana e poi in tutta la società argentina. Il dibattito interno fece sì che le divisioni delle Società e Circoli regionali italiani fossero più frequenti.
I fascisti infatti, cercarono appoggio e solidarietà -verso la politica estera di Mussolini- presso personalità politiche e culturali dell’Argentina come Arturo Rossi, medico chirurgo dell’Ospedale Italiano di Buenos Aires e direttore dell’Asociación Argentina de Biotipología, Eugenesia y Medicina Social, che creò nel 1935 un Comitato Pro-Italia per raccogliere firme degli intellettuali contro le punizioni economiche all’Italia. Di fatto, a Ginevra l’Argentina aveva votato contro la posizione dell’Italia.
Altri comitati si aprirono ad altre città argentine, appoggiati dalle autorità locali, e nel dicembre del 1935 venne organizzata la Settimana dell’Italia a Buenos Aires a sostegno della politica africana del regime. Questi comitati raggiunsero le 400.000 firme e l’Associazione Patriottica Italiana (API) organizzò l’invio di alimenti, la riscossione dei soldi, le Giornate della fede ed i Giorni della catena affinché i connazionali dessero in dono gli anelli matrimoniali e le catenine d’oro. Anche la Camera di Commercio portegna organizzò una riscossione di fondi per comprare lingotti d’oro che poi furono consegnati all’Ambasciata.
Malgrado le divisioni interne, anche stavolta oltre 700 nostri connazionali vollero rientrare in Patria come volontari. Dal porto di Buenos Aires partirono quattro contingenti di volontari durante i mesi di ottobre e novembre. Il viaggio fu fatto con la nave Augustus il 1° ottobre, con l’Oceania il giorno 11 e con il Conte Grande il 18. Il quarto contingente partì il 19 novembre una volta che l’Augustus fece rientro dall’Europa.
Anche la Chiesa era coinvolta nel conflitto africano; Don Orione, sacerdote missionario, chiese la benedizione divina per la guerra coloniale, il sacerdote Onorato Amendola de Tebaidi (figlio di un colonnello italiano morto nel 1915 e di Edwige Tebaidi), nato a Pesaro il 19 febbraio 1901, partì con la famiglia per l’America nel 1924. Due anni più tardi fu ordinato sacerdote nell’arcidiocesi di La Plata. Poi si iscrisse nel Fascio di Bahía Blanca. Fu economo, parroco e Cappellano Vicario. Contemporaneamente ebbe l'incarico di professore di italiano e filosofia all'Università nazionale. Nel 1931 fondò l'associazione Goliárdica de Artístas y Periodístas. Nel 1934 fu delegato e oratore durante il XXXII Congreso Eucarístico Internacional di Buenos Aires. Lui accompagnava i volontari che salpavano verso l’Africa come aspirante a cappellano e giornalista (4)
Tra gli avversari, il giornale antifascista L’Italia del Popolo, che il 14 luglio 1935 invitava a una mobilitazione anti-bellicista e alla creazione di un comitato contro la guerra in Abissinia presieduto da Nicola Cilla a cui aderivano associazioni italiane antifasciste.
L’accanita pirotecnia verbale continuò fino all’entrata in combattimento della Legione Parini di cui facevano parte i volontari americani, allora L’Italia del Popolo si fermò improvvisamente e le cronache acquisirono un tono più oggettivo e il 6 maggio intitolava “La guerra è finita! Mussolini annuncia l’immediato ristabilimento della pace”.
Per strada gli italiani festeggiavano la vittoria africana e l’equazione Fascismo=Patria sembrava impadronirsi della complessiva collettività in Argentina.
La guerra civile spagnola e la partecipazione delle diverse potenze nel nuovo conflitto divenne una palese realtà e l’invio di truppe da parte di Mussolini (Corpo Truppe Volontarie italiane), riaccese la polemica ma stavolta anche gli antifascisti ebbero la possibilità di riscuotere soldi e reclutare volontari per arruolarsi nelle Brigate Internazionali che marciavano a lottare contro le forze Franchiste ed alleate. Il primo, Candido Testa, giunse a Barcellona e creò il Battaglione della morte (5).
Questo conflitto però non solo mise a confronto gli italiani ma anche tutta la società argentina, ormai composta da una nutrita collettività spagnola. Comunque la guerra di Spagna offrì ai fascisti italiani l’occasione di tenersi più stretti ai nazionalisti argentini.
Appena finito il conflitto spagnolo, scoppiò il Secondo Conflitto Mondiale e l’Italia entrò nell’asse Roma-Berlino-Tokio.
L’Italia del Popolo e le Associazioni schierate nell’antifascismo, che ora sottolineavano il valore militare dei soldati italiani nei confronti dei tedeschi, decisero di abbandonare la dura critica e, il direttore del giornale Vittorio Mosca, scrisse: “L’Italia del Popolo, giornale italiano, non ammaina la sua bandiera di libertà e democrazia ma neppure dimentica che sono i nostri fratelli a morire sul fronte di battaglia”.(6)
Sebbene non si verificarono vittorie italiane di successo -fino alla caduta del Duce nel 1943 e la costituzione della Repubblica Sociale Italiana- la collettività italiana rimase come suggellata in attesa dello snodamento della situazione bellica.
Ancora una volta l’equazione Patria=Fascismo sembrava funzionare grazie alla condanna di Badoglio, ai bombardamenti alleati su città aperte, ai crimini portati avanti dalle forze di occupazione.
Nell’Argentina di Farrell e Perón le nostre aspirazioni e la nostra fede trovano la comprensione più cordiale e la corrispondenza più fraterna. (7)
Per i fascisti di Argentina, come Virginio Gayda, l’Italia entrò in guerra contro le ingiustizie della vittoria mutilata di Versailles e tutti gli italiani, senza escludere nessuno, devono avere coscienza della loro responsabilità perché la Patria si deve servire ad ogni momento e ad ogni posto e il tempo e la distanza non contano niente, perché ogni arma è buona per combattere. (8)

(1)Incisa di Camerana 1998: 388
(2)Franzina 2000: 70
(3)La favola argentina di Mussolini – Repubblica – 24/04/2006.
(4)Capizzano 2005.
(5)L’Italia del Popolo - 05/1/1937.
(6)L’Italia del Popolo - 11/6/1940.
(7)La Patria degli Italiani – giugno 1944.
(8)La Patria degli Italiani - marzo 1941.

FIGLI D'ITALIA NEL MONDO... LA PATRIA VI RICHIAMA...!!! (2a. puntata)

Da uno studio di Vito Zita, ho appreso che a Roma il 6 agosto 1935 poco meno di un mese prima dell’inizio delle operazioni in Africa, venne rilasciato un comunicato militare che, tra le altre cose, informava: “Si stabilisce la formazione di una sesta Divisione di Camicie Nere, costituita da volontari italiani residenti all’estero e con battaglioni composti da mutilati, ex combattenti e volontari ex arditi della Grande Guerra. Questa Divisione si chiamerà Tevere e sarà comandata dal generale Boscardi”.
Dal comunicato dello Stato Maggiore possiamo interpretare che la Divisione Tevere era considerata una divisione simbolo dell’eroismo e della volontà italica.
Come abbiamo raccontato nella Prima Parte, anche gli italiani d’Argentina -compresi alcuni che non erano ideologicamente fascisti- chiesero di partecipare come volontari nell’impresa in Africa Orientale.
Come si è detto, la Comunità degli italoargentini reclutò un contingente di volontari composto da oltre settecento uomini che partirono in quattro spedizioni successive ma il caso dell'Argentina non era unico, in Brasile il numero di volontari era più grande ancora.
Fra i volontari dell'Argentina c’era una sezione costituita dai fascisti storici del quartiere di Avellaneda chiamata “Mayor Rosasco”. Fra questi c’erano Felipe Simeone, Horacio Bianchetti, Ivo Cecarini e Patricio Tribola. I volontari non erano solo residenti di Buenos Aires e della Capitale dello Stato ma anche mendocinos e cordobeses.
Il reclutamento degli italiani fu organizzato -non in segreto ma con prudenza- principalmente dagli agenti consolari e dai simpatizzanti fascisti.
Il secondo contingente contava, fra i suoi volontari, di Saverio Patti, membro dirigente della Unione Calabrese, che scrisse una lettera indirizzata al Giornale d'Italia, prima di partire l’11/10/1935. La lettera ci darà un'idea di come il fascista italiano viveva la mobilizzazione ordinata da Mussolini:
“Signor Presidente della Società Unione Calabrese; membri della Commissione direttiva; Camerati:
Contro i selvaggi abissini, per un dovere patrio e per la fede al Duce, Capo Supremo della nostra grande Italia, partirò venerdì prossimo, undici del corrente mese per la Madre Patria come volontario nella guerra italo-abissina. Come squadrista, vecchia Camicia Nera, ho la certezza di prendere per il collo molti di quelli che un tempo furono un ostacolo alla nostra grande impresa. A voi camerati il mio fervente saluto e i miei voti con un “eja” sincero e caloroso alla Unione Calabrese”.
Non si trattava solo di partire per un’avventura e andare a combattere per la patria in terre lontane abbandonando la famiglia e il lavoro, forse altri erano stati tentati dalla possibilità di sviluppare attività o di acquisire degli appezzamenti di terra in Africa.
Molti erano figli di immigranti nati in Argentina che sentivano come propria la chiamata di Mussolini agli italiani del mondo come i volontari Emilio Carabelli, Achille Borgatta, Michele de Nicoló, Giovanni Signorelli od Italo Borgatta.
Si può notare, nei differenti contingenti, la presenza di ex combattenti della Grande Guerra, fra questi veterani c’erano Luigi Moglia, Uras Giammichele, Raffaele Labonia e Diodato Zoratti.
I contingenti di italoargentini cominciarono ad arrivare in Italia il 17 ottobre. Il primo, imbarcato sull’Augustus, arrivò con 450 uomini fra i volontari di Argentina, Uruguay e Brasile. A Mogadiscio, nella Somalia italiana confinante con l'Etiopia, arrivarono già all’inizio di dicembre del 1935 potenziando la Divisione Tevere e passarono agli ordini diretti di Piero Parini, un leggendario fascista funzionario di Mussolini ed ex combattente della Grande Guerra. I volontari attesero quattro mesi a Mogadiscio prima di poter essere condotti in battaglia.
In Etiopia la unità prese il nome di Legione Parini e militarmente era integrata nella Divisione Tevere con la denominazione di 221a Legione.
Nell’aprile del 1936 questa unità era pronta ad entrare in battaglia, con le limitazioni proprie di un contingente che includeva mutilati della Grande Guerra, uomini anziani e italiani lontani dalla propria terra e dalle arti militari. Infatti, la campagna militare era già determinata. Malgrado ciò, all’inizio del mese fu dato loro l’ordine di prepararsi ad avanzare all’interno di una offensiva generale che partiva dal sud dell’Abissinia. Facevano parte della colonna del generale Frusci ed entrarono in combattimento il giorno 24 sulle alture di Gomar e Dane.
La Legione Parini era schierata al centro, mentre ai suoi fianchi c’erano unità arabe e somale che combattevano per l'Italia. Così un Generale italiano riferisce quelle azioni: “La resistenza del nemico è sanguinosa, l'attacco più risoluto lo ricaccia sulla fossa di Birgod, posizione fortificata di rinforzo, ad avanguardia della linea di difesa principale di Hamanlei. Durante il giorno 24, gli assalti succedono agli assalti; la difesa è sempre tenace. Le caverne ben dissimulate offrono un sicuro riparo e le numerose mitragliatrici di cui dispongono gli abissini permettono di tenere a distanza le nostre valorose unità. Durante la notte, dopo un ultimo tentativo di controffensiva, la difesa si ripara nelle trincee e nelle caverne della posizione principale. All'alba del 25, il Generale Frusci fa avanzare le batterie da 65 a trecento metri dal nemico e, dopo una violentissima azione di fuoco, lancia all’assalto le unità del settore centrale composta dalle unità arabo-somali…”
Da allora si produsse una grande quantità di perdite fra gli arabo-somali che si lanciarono in uno scontro corpo a corpo. Secondo la stessa relazione, la Legione Parini partecipò soffrendo una sola perdita. Infine la posizione fortificata di Hamanlei fu conquistata il giorno 25 aprile. Questo fu il battesimo di fuoco per la Legione Parini.
Il giorno 29 i “fasci all’estero” in Abissinia si dedicarono ad inseguire il nemico in ritirata. L’aspetto più duro della lotta era forse dover combattere su un terreno pantanoso e inondato dalle piogge di una furiosa tempesta. In quei giorni furono presi altri luoghi prima dell'avanzata delle varie unità italiane. Il 9 maggio, la Legione Parini arrivò definitivamente a Dire Daua.
Ci furono cinque morti in tutta la campagna. Il contingente più grande arrivò a Buenos Aires nel dicembre 1936 .
Evidentemente i volontari italoargentini avevano fatto parte di una unità militare più simbolica che combattente, il cui reclutamento era stato più utile per la propaganda fascista di quanto effettivamente fece in campo bellico. Tuttavia, i volontari dovettero affrontare i rigori del clima, di una terra e di una geografia ostile, lasciando i loro posti di lavoro quotidiano in onore di una causa che consideravano patriottica.
Viene qui riportato il discorso del Maresciallo Graziani tenuto alla 221a e 321a Legione dei Fasci Italiani all´Estero quando partirono da Addis Abeba il 25 agosto1936 per ritornare in Italia. Erano presenti i generali Pedretti, Gariboldi, Gallina e Broglia. Il discorso è presente nel quotidiano Il Mattino d´Italia del 25 agosto 1936.
"Ufficiali, graduati, legionari:
Potete partire soddisfatti di voi stessi, così come io sono soddisfatto di voi. Nei disagi, gagliardamente sopportati, come nei combattimenti, valorosamente sostenuti, avete assolto in pieno il vostro dovere di soldati dell’Italia fascista.
Il vostro sangue generoso ha contribuito a fecondare il nuovo impero d’Italia voluto dal Duce, germogliato dalla Rivoluzione fascista, realizzato dai soldati d’Italia nel nome del Re.
Tornate ora ai lontani paesi esteri dai quali siete venuti e tornatevi con la fronte alta a rappresentarvi la nuova Italia vittoriosa. Cittadini dell’Impero d’Italia, siate sempre all’estero buoni italiani come siete stati buoni soldati. Ovunque andiate e in qualsiasi circostanza, siate sempre orgogliosi della vostra patria, sempre fieri di appartenere al nostro popolo millenario che nulla ha da apprendere dagli altri, che alle altre genti molto ha insegnato nei secoli come ora.
Oltre che alla conquista dell’Impero avete avuto l’onore di contribuire al suo consolidamento nelle recenti operazioni di polizia coloniale durante le quali foste gli stessi superbi legionari di Sassabaneh.
Bravi. Che la vita ora vi sorrida e la fortuna vi assista. In alto i gagliardetti gloriosi.
Saluto al Re! Saluto al Duce!"


(Un ringraziamento molto speciale ad Hernan Capizzano cui informazione mi e' stata molto utile)

CARNEVALE: IL SOGNO DI DIVENTARE UN'ALTRO

Il carnevale ha un’origine molto antica ed il suo nome, secondo alcuni storici, viene riferito a non mangiare la carne perchè “la carne è debole”. Tradizionalmente nei paesi cattolici -come l’Argentina- il Carnevale inizia con la Domenica di Settuagesima e finisce il martedì precedente al mercoledì delle Ceneri che segna l'inizio della Quaresima.
Altri invece affermano che l’origine del carnevale risale alle feste pagane in onore di Bacco in cui si mangiava, si beveva e ci si divertiva più del consueto.
Qualunque sia l’origine vera del carnevale, certo è che viene festeggiato dappertutto con caratteristiche diverse.
Ad esempio ai tempi della mia fanciullezza e giovinezza, il carnevale significava il sogno di diventare un altro, almeno per qualche ora di magia, acqua profumata, serpentine e carta tritata da buttare in faccia agli altri.
Erano tempi di ballare al salone del Club Sociale del posto, di secchiate d’acqua sui marciapiedi di ogni quartiere e soprattutto tempi di fantasia, travestimento ed mascheramento.
Sulla rivista infantile Billiken, la famosa casa italoargentina Lamota, di Buenos Aires, pubblicava l’ampio stock di costumi e maschere sognate dai bambini dell’intero Paese.
Erano pure i tempi dei cartoon’s cartacei americani con le avventure degli eroi più popolari come Superman, Batman, D’Artagnan o Lonely Rider.
Allora, ognuno di noi chiedevamo a mamma e a papà il costume dell’eroe più ammirato ma quando la famiglia non aveva i soldi per comprarne uno, la mamma sedeva davanti la macchina da cucire e con tanta pazienza ne fabbricava uno su misura, basato nel modello copiato dalle riviste.
A sette anni mi ero travestito da Lonely Rider e ricordo ancora quel costume grigio fatto da mia mamma, con esso sono andato al “Corso”, organizzato dal Comune, sul viale centrale della città gremito di gente che gridava ed applaudiva al mio passo. Benché io non montavo Silver ne accanto a me c’era il compagno indiano, l’illusione di essere Lonely Rider per quel solo giorno mi aveva fatto tanto felice.
Ma perchè da noi chiamiamo “Corso de Carnaval” la sfilata di carri allegorici con delle regine, pattuglie, comparse, complessi e bande di musica che cercano di riscattare dei valori culturali, folclorici, sociali e turistici del paese?
Certo, in riferimento alla nota strada del centro di Roma -Via del Corso- detta comunemente il Corso, che collega Piazza Venezia a Piazza del Popolo e misura all'incirca 1,6 chilometri. Dobbiamo ricordare che su quel tracciato rettilineo si facevano le corse di cavalli del Carnevale, molto seguite dai romani fino al 1883 quando un incidente mortale portò alla sua abolizione. Poi il nome della via cambiò in Corso Umberto I dopo l'assassinio del sovrano nel 1900; nel 1944, divenne Corso del Popolo e, due anni dopo, venne reintrodotto quello che è il toponimo attuale.

CENT'ANNI DI RIVOLUZIONE FUTURISTA

"Il futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche. Coloro che oggi fanno uso del telegrafo, del telefono e del grammofono, del treno, della bicicletta, della motocicletta, dell’automobile, del transatlantico e del dirigibile, dell’aeroplano, del cinematografo, del grande quotidiano non pensano che queste diverse forme di comunicazione, di trasporto e d’informazione esercitano sulla loro psiche una decisiva influenza. Questa influenza sviluppa un ‘nuovo senso del mondo’: gli uomini conquistarono successivamente il senso della casa, il senso del quartiere in cui abitavano, il senso della città, il senso della zona geografica, il senso del continente. Oggi posseggono il senso del mondo; hanno mediocremente bisogno di sapere ciò che facevano i loro avi, un bisogno assiduo di sapere ciò che fanno i loro contemporanei di ogni parte del mondo: Conseguente necessità, per l’individuo, di comunicare con tutti i popoli della terra”.
In questo testo del 1913 -tratto da L’immaginazione senza fili e le parole in libertà- Filippo Tommaso Marinetti avvertiva chiaramente un periodo di cambiamenti radicali segnato da trasformazioni sociali, rivolgimenti politici e sconvolgenti scoperte tecnologiche e scientifiche.
La portata del cambiamento non aveva precedenti ed è proprio lui ed altri intellettuali e artisti ad avvertire con profonda consapevolezza che il mondo stava cambiando e, con esso, persino la percezione dello spazio, del tempo e il modo di vivere della gente.
Marinetti nel suo famoso manifesto esaltava il dinamismo, la velocità, l’industria eppure la guerra intesa come igiene del mondo.
Ecco perchè i futuristi furono considerati giovani irriverenti e arditi che condannavano con violenza il passato e col loro motto: “uccidiamo il chiaro di luna”, incitavano a realizzare un’arte rivoluzionaria con una nuova cosmovisione.
Il movimento esplorò i grossi cambiamenti in ogni campo dell’arte: pittura, scultura, poesia, teatro, musica, architettura, danza, fotografia, cinema nonche quello della gastronomía.
A Milano quindi, i pittori Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo, firmarono il “Manifesto tecnico della pittura futurista” che aboliva la prospettiva tradizionale e faceva propria una estetica della velocità, infatti nelle opere futuriste prevaleva il dinamismo, il movimento e la visione da più punti di vista.
Nel 1910 Boccioni, Carrà e Russolo, esponevano a Milano le prime opere futuriste alla Mostra d’arte libera nella fabbrica Ricordi.
Il 20 febbraio 2009, il Futurismo -con addetti in tutto il mondo- compie i 100 anni di vita e così lo ricordiamo dal nostro portale.

QUANDO IL RADIOTEATRO CI FACEVA SOGNARE

Tra gli anni ’30 e ’60 il radioteatro occupò un’importante spazio del passatempo popolare.
A quel tempo, la radio era la fedele compagna di tutti senz’alcuna distinzione e, sopratutto, delle sempre molto indaffarate casalinghe.
In ogni casa c’era una radio e con un minimo investimento si stava al corrente di quello che accadeva in tutto il mondo e, dettaglio importante, senza abbandonare ciò che si stava facendo con le mani!
Da quell’apparecchio magico uscivano voci e rumori che ci facevano immaginare situazioni e personaggi in piena azione.
La tecnologia aveva portato a casa il teatro in un modo diverso. Infatti, la sceneggiatura, i colori, i costumi e i volti, li mettevamo noi stessi a seconda dei dialoghi.
Incredibile ma vero.
Un radioteatro che andava in onda negli ultimi anni del ‘50 è rimasto inciso nella mia mente: La vendetta di Salvatore Giuliano. Anche mia mamma, che ha compiuto 87 anni, lo ricorda sempre con un po’ di nostalgia.
La vita e le avventure del brigante siciliano venivano alla conoscenza degli ascoltatori tramite la radiodiffusione.
L’autrice ed attrice, Nelida de Mendoza, ci faceva immaginare giorno dopo giorno, le corse del famoso bandito meridionale.
Tra un appuntamento e l’altro, l’ansia s’impadroniva e tutti trattavano di anticipare quello che poteva accadere a quel Robin Hood di Montelepre, che toglieva ai ricchi per dare ai poveri.
Intanto aspettavo il giorno dopo fingendo d’essere Salvatore Giuliano, nascondendomi nel boschetto di canne in modo da non cadere nelle mani dei carabinieri.
Dopo tanti anni, mi sono messo a studiare un po’ di più sul controverso personaggio dei giochi bambineschi che mi venivano ogni tanto alla memoria.
Riuscì a sapere che solo nel 2003 si stabilì ufficialmente che Salvatore Giuliano non era responsabile della strage di Portella della Ginestra accaduta nel 1947 e che, per sconfiggerlo, lo Stato italiano, sotto la guida di Enrico De Nicola, dovette scendere a patti con la mafia.
Malgrado il titolo dell’opera che parla di vendetta, posso stare tranquillo perché nei miei giochi, in cui fingevo di essere il brigante del radioteatro del pomeriggio, credo non aver fatto nessuna apologia del reato.
E mia mamma, che allora immaginava l’eroe leggendario come un bell’uomo, oggi può godersi, per la prima volta, la sua fotografía sul nostro Portale.