"Escribid con amor, con corazón, lo que os alcance, lo que os antoje. Que eso será bueno en el fondo, aunque la forma sea incorrecta; será apasionado, aunque a veces sea inexacto; agradará al lector, aunque rabie Garcilaso; no se parecerá a lo de nadie; pero; bueno o malo, será vuestro, nadie os lo disputará; entonces habrá prosa, habrá poesía, habrá defectos, habrá belleza." DOMINGO F. SARMIENTO



sábado, 16 de mayo de 2009

STORIA DELLE SCUOLE ITALIANE IN ARGENTINA

L’Università di Buenos Aires (UBA) aveva iniziato la sua vita con le scuole dei dottori Pietro Carta Molina, Ottavio Fabrizio Mossotti, Carlo Ferraris, Pietro De Angelis, Pellegrino Strobel, Emilio Rossetti, Bernardino Speluzzi, e Giovanni Ramorino tra l’altro, la cui opera feconda è stata consacrata dalla storia.
Vediamo ora cosa succedeva con l’insegnamento elementare che ha avuto una parte importante nello sviluppo intellettuale dei futuri cittadini di questo paese.
Chi fu il primo maestro italiano di scuola che insegnò in Argentina?
Chi fu il primo apostolo della civiltà in questo paese?
Secondo i dati ricavati dall’Archivio Generale della Nazione (Libro I Acuerdos, parte I, pag. 149), sarebbe stato un tale Francesco de Vittoria, il quale il 1 agosto 1605 inoltrò domanda all’amministrazione di Buenos Aires per essere ammesso all’insegnamento elementare “con obbligazione di dare lezioni mediante la retribuzione di 1 $ per i bambini che imparassero a leggere únicamente e di 2 $ per quelli che imparassero a scrivere e fare conti”.
La domanda venne accettata. Questo umile maestro elementare italiano ha preceduto di 220 anni i grandi esponenti della nostra cultura ed è doveroso ricordarlo come il primo maestro italiano in Argentina.
La missione educatrice dei maestri italiani raggiunge il massimo splendore dal 1876 con i Padri Salesiani dell’Opera Don Bosco.
A quell’epoca, questa benefica istituzione possedeva già in ogni parte della república scuole d’insegnamento primario, secondario, superiore, scuole d’arti e mestieri, colonie agricole e stampava un’orma in tutti i rami del sapere e delle industria.
Ecco alcuni loro: Rev. Giovanni Cagliero (più tardi Vescovo e Cardinale); Rev. Domenico Tomati; Rev. Giovanni Baccino; Rev. Giovanni Allavena; Rev. Giuseppe Caproglio; Rev. Giuseppe Vespignani; Rev. Valentino Cassini; Rev. Pietro Rosmini; Rev. Michele Tonelli; Rev. Giuseppe Longo; Rev. Giovanni Pagliere; Rev. Giuseppe Fognaro e molti altri.
Nel 1875 l’Opera Don Bosco imparte la scinza gratuita, veste e sfama oltre 30.000 giovani argentini, le sue scuole d’arti e mestieri creano eserciti di operai abili ed onesti che nel nome delgrande torinese gettano le basi della futura prosperità argentina.
Sul finiré del XIXmo. secolo e l’inizio del XXmo., le scuole di lingua italiana e le istituzioni parascolastiche raggiungono uno sviluppo sorprendente per merito della “Pro Schola” e della “Dante Alighieri”.
Secondo lo storico Amilcare Bresso, nella decade del ’30, la Direzione Generale degli Italiani all’Estero rompiva la “tradizionale apatía” dei rappresentanti consolari in loco e la lentezza burocratica del passato anticipando l’invio del materiale didattico necessario all’insegnamento italiano.
Il Ministero degli Affari Esteri tra 1930 e 1932 pubblica le cifre statistiche, sull’Annuario delle Scuole Italiane all’Estero, mettendo a confronto gli Stati Uniti e la Repubblica Argentina.
Risulta che negli USA, con 110.000.000 di abitanti di cui 2.500.000 erano italiani, funzionavano 135 scuole italiane con circa 30.000 iscritti. Cioè, l’1,20% della popolazione italiana residente negli Stati Uniti.
Mentre in Argentina, con 12.000.000 di abitanti di cui 1.500.000 erano italiani, funzionavano 130 scuole italiane con circa 22.000 iscritti.
Ciò significa un 1,46% della popolazione italiana residente nella Repubblica Argentina.
Dalla tavola grafica n° 1 (foto), dove si fissano in cifre i confronti, risulta in forma chiara e inequivocabile che l’italianità in Argentina manteneva un primato indiscuso e quindi, l’influenza italiana in questo Paese era destinata ad avere una parte primaria nei confronti di altri centri d’immigrazione.
Finqui un’altra testimonianza che dimostra palesemente che l’Argentina fu, è, nonchè sara, il Paese più italiano dopo l’Italia.

miércoles, 13 de mayo de 2009

GLI APOSTOLI ITALIANI DELLA RIVOLUZIONE DEL MAGGIO 1810

Come si è detto nella precedente puntata, dall’epoca della scoperta dell’America gli spagnoli non videro di buon occhio la presenza di stranieri nel Rio de la Plata, tanto meno di italiani. In quella tappa della colonizzazione ebbero bisogno di molti marinai italiani per poter avanzare in tutto il territorio del Sudamerica.
Secondo lo storico Amilcare Bresso, nel 1804 Buenos Aires comincia ad avere la fisionomia di una colonia organizzata e difesa, con garanzie per i suoi abitanti. Nel primo Censimento, che si fece tra gli anni 1804 e 1807, risultavano 96 italiani, con nomi nuovi. Tra loro, armaiuoli, armatori, muratori, commercianti, falegnami, calzolai, barbieri, industriali, agricoltori, scultori, pittori, medici, avvocati e scrittori.
Tutti questi italiani svolsero una funzione importante per lo sviluppo del Vicereame prima e dopo della Repubblica nascente. In questo capitolo parleremo di due di loro.
Antonio Luigi Beruti ebbe un ruolo importantissimo negli avvenimenti precedenti alla liberazione dallo iogo spagnuolo che culminò nei moti del 23, 24 e 25 maggio 1810. Era figlio di Paolo Emanuele Beruti nato a Cadice il 21 luglio 1727 a sua volta figlio legittimo di Giovanni Battista Beruti e di Maria Teresa Odo. Giovanni Battista Beruti era nato a Finalborgo in Provincia di Genova, il 15 dicembre 1693 da Santo Beruti, militare del Presidio di Finalborgo, e da Maria Maddalena Rinaldo.
Al Cabildo Abierto del 22 maggio votò per la dimissione del ViceRe e chiese la rinuncia della Giunta Reale proponendo la lista del primo governo patriottico che il giorno 25 risulterebbe trionfante. Un mese dopo venne nominato tenente colonnello del Reggimento “América”, creato dalla Prima Giunta di Governo. Seguace di Mariano Moreno, fu fedele agli ideali anche dopo la misteriosa scomparsa in altomare del Segretario della Giunta. Ecco perchè partecipava alle riunioni del Caffè di Marcos dove man mano cresceva l’opposizione al nucleo “saavedrista” di essa.
Il 5 e 6 aprile 1811, sapendo di questi moti, il Colonello Saavedra ed i suoi seguaci cacciano via dal governo tutti gli oppositori. Azcuénaga, Vieytes e Rodríguez Peña dovettero dimettersi ed andare in esilio e, assieme a loro, membri attivi della Società Patriottica come French, Beruti, Donado e Posadas.
Il 13 marzo 1817, Bernardo O'Higgins -da parte del Generale Jose de San Martín- gli ordinò di passare prima a Mendoza e poi a Buenos Aires. Purtroppo non fu possibile rintracciare le sue spoglie che furono perse. Sua sposa, Mercedes Ortiz, fu una delle donne che, a Mendoza, accompagnando Remedios Escalada in San Martin, donò molti suoi gioielli per la Campagna della liberazione americana.
Emanuele Belgrano, nome completo Manuel José Joaquín del Sagrado Corazón de Jesús Belgrano y Peri, nacque a Buenos Aires il 3 giugno 1770.
Suo padre, Domenico Belgrano, era nato ad Oneglia (Porto Maurizio) in Provincia di Imperia, nell’anno 1709.
Anche se giornalista e laureato in giurisprudenza, scrisse con la sua spada una delle pagine più belle dell’indipendenza argentina e persino creò -nel 1812- la bandiera bianco-azzurra di questa nazione.
A capo dell'esercito delle Province Unite del Rio de la Plata conseguì nel 1813 la vittoria nelle battaglie di Tucumán e di Salta. Si batté contro la secessione dalla federazione dell'Uruguay e del Paraguay. Fu sostenitore in politica dell'autonomia e della laicità dello Stato nei confronti della Chiesa e in economia del sistema liberistico.
Nel 1816 parteciperà attivamente al Congresso di Tucuman e il 20 giugno 1820 morirà in una Buenos Aires colpita dalla guerra civile in assoluta povertà